Tra i migliori che ho letto!
e lo rileggerei volentieri

In culo al mondo

scritto da Antunes Lobo Antonio
  • Pubblicato nel 1083
  • Edito da Einaudi
  • 192 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 04 luglio 2016

Sono passati otto anni dalla fine della guerra coloniale portoghese, che devastò lʼAngola tra il 1961 e il 1975: da un lato il Portogallo di Salazar e dallʼaltro i movimenti di liberazione angolana.
Il protagonista, ed io narrante, incontra una donna in un locale, come tante altre volte, "quando il bar è un Titanic che fa naufragio, (...) un galeone spagnolo sommerso, popolato dai cadaveri alla deriva della ciurma illuminati di sbieco da un chiarore sottolunare, cadaveri che fluttuano senza aderire alle sedie, fra due acque, e dimenano le braccia prive di ossa in una calma di alghe".
Sappiamo poco di questa donna, ma senza dubbio sa ascoltare, perché il nostro protagonista comincia a raccontare i suoi ventisette mesi di guerra,in "culo al mondo", a morire "non della morte della guerra, che ci priva allʼimprovviso delle cervella con uno scoppio fulmineo e lascia intorno a sé un deserto disarticolato di gemiti e una confusione di panico e di spari, ma della lenta, afflitta, torturante agonia dellʼattesa, lʼattesa dei mesi, lʼattesa delle mine sulla pista, lʼattesa del paludismo, (...) lʼattesa della jeep della Polizia politica che ogni settimana passava, (...) portando con sé tre o quattro prigionieri che scavavano la loro fossa, vi si rattrappivano, chiudevano gli occhi e si afflosciavano sotto le pallottole come un soufflé si affloscia sul forno, con un fiore rosso i cui petali si schiudevano sulla fronte"; una guerra che faceva vomitare e rispondere con "una voce dolce di bambino Non perdere tempo con me perché io sono così stanco di questa guerra che neanche con le bombe mi toglierete di qui"; una guerra che non si può dimenticare, tanto che "nel momento in cui le sue ginocchia si divaricheranno dolcemente, i suoi gomiti mi stringeranno le costole e il suo pube rossiccio schiuderà i suoi petali carnosi con lʼumida consegna di valve calde e morbide, entrerò in lei, capisce ?, come un umile e tignoso cagnetto insonnolito in un vano di scala, alla ricerca di un conforto impossibile sul legno duro degli scalini, perché il soldato di Mangando e tutti i soldati di Mangando e Marimbanguengo e Cessa e Musuma e Ninda e Chiume balzeranno in piedi dentro di me nelle loro bare di piombo, avvolti in bende sanguinanti che svolazzano, per esigere da me, con i rassegnati lamenti dei morti, ciò che per paura non ho dato loro: il grido di rivolta ..." Il protagonista narra, quindi, la sua esperienza, ma non dobbiamo aspettarci un resoconto o una denuncia: la crudele e vigliacca devastazione della guerra disvela la povertà del nostro animo, la sua pavidità, il suo vuoto ideale e sentimentale, ma nel contempo rivela lʼinutilità della tante parole, di chi non ha mai provato sulla pelle "la furiosa e pungente paura di morire", di chi si può permettere di "essere competente, serio, saggio, socialdemocratico, sardonico, trasportando con i libri nella valigia la furbizia facile dellʼultima verità di carta".
Lʼesperienza di guerra è una cesura tra il prima e il dopo, è una discesa nella profondità dellʼanimo, è una morte spirituale, che ci toglie la possibilità di amare.
Non restano che fugaci momenti di tenerezza, con i quali due esseri soli si inventano "una diafana pace di infanzia".

Per essere apprezzato sino in fondo questo libro andrebbe letto ad alta voce, come un lungo poema.
Se si avesse la pazienza di farlo si scoprirebbero lʼabile scansione delle parole e le loro capacità evocative, e ci si troverebbe in un mondo onirico, anche se terribilmente reale, nel quale sensualità, nostalgia, disperazione e morte si mescolano insieme, riportando alla luce i mostri della nostra infanzia, e la nostra solitudine esistenziale.
"Se fossimo, per esempio, dei formichieri, lei e io, (...) forse ci potremmo capire in una complicità di proboscidi inquiete che annusano insieme sul cemento nostalgie di insetti inesistenti; forse ci uniremmo, col favore del buio, in coiti tristi come le notti di Lisbona.
(...) Forse, dopo essermi palpato, scoprirò di essere allʼimprovviso un unicorno, forse lʼabbraccerò, e forse lei agiterà le sue braccia attonite di farfalla conficcata in uno spillo, pastosa di tenerezza.
(...) E avremmo recuperato in questo modo qualcosa dellʼinfanzia che non appartiene a nessuno di noi e insiste a scendere lungo lo scivolo in un riso del quale giunge fino a noi, ogni tanto, e in una specie di rabbia, lʼeco attutita".

Perché leggerlo ? È un grande libro, sulla guerra e sulla solitudine umana.

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