Tra i migliori che ho letto!

Disgrace

scritto da Coetzee J.M.
  • Pubblicato nel 1999
  • Edito da Secker & Warburg
  • 218 pagine
  • Letto in Inglese
  • Finito di leggere il 06 agosto 2007

Un professore di letteratura viene espulso dall’università a seguito di una relazione, essenzialmente sessuale, con una studentessa.
L’uomo ha superato i cinquant’anni ed è reduce da due divorzi.
Abituato a essere corteggiato dalle donne, si ritrova ormai solo, costretto a ricercare sesso con delle prostitute, e quindi si lascia trascinare nell’avventura, alla ricerca della propria vanità e del proprio eros.
Si trasferisce in campagna presso la figlia, che gestisce una piccola proprietà agricola e un ricovero per cani.
Aiuta la figlia a portare i suoi prodotti al mercato, conosce una donna della sua età che gestisce un ospedale per animali e aiuta i cani in soprannumero a morire, lavora con Petrus, un uomo di colore che aiuta la figlia a portare avanti l’azienda.
L’atteggiamento dell’uomo non è tuttavia cambiato, la sua vanità continua a dominare anche i rapporti con la figlia, con la quale non riesce ad avere un dialogo reale: né a raccontare la vicenda che lo ha portato a lasciare l’Università, né a capire le ragioni della figlia a vivere in campagna, così isolata.
Un episodio cambia radicalmente la vita: tre uomini di colore entrano in casa, la saccheggiano, cercano di dare fuoco al professore e stuprano la figlia.
Ancora più sconvolgente è il fatto che la figlia non denuncia il fatto e decide, anzi, di tenersi il figlio nato dalla violenza e di sposare Petrus per dare sicurezza alla propria vita in campagna.
Si dissolve il mondo del professione, che trovava riferimenti precisi nel mondo dell’immaginazione, della poesia e nelle convenzioni borghesi: come disse all’inizio del libro commentando una strofa di Wordsworth (la delusione del poeta alla vista del Monte Bianco): "i grandi archetipi della mente, le pure idee, trovano se stesse usurpate dalle mere immagini che provengono dai sensi.
Tuttavia, non possiamo vivere ogni giorno nel mondo delle pure idee, protette dall’esperienza dei sensi.
..
La questione deve essere.
Come noi troviamo un modo per le due (immaginazione e realtà) di coesistere?" Idee di un intellettuale narcisista alle quali la figlia risponde che la vita è un fatto concreto e piano.
L’uomo cerca di ritornare in città, ma ormai la sua vita precedente si è dissolta.
Prende quindi una stanza nel villaggio vicino alla fattoria della figlia, lavora a un’opera musicale, che deve avere come oggetto la relazione tra Byron e la sua moglie ravennate, Teresa; aiuta la gestione dell’ospedale per gli animali.
Il libro si conclude, tristemente, con la decisione dell’uomo di uccidere un cane, al quale si era affezionato, perché tutti dobbiamo andare verso la nostra fine, la morte.
Si tratta di un romanzo molto complesso, del quale è difficile individuare un unico filone narrativo.
Tra i possibili (il contesto sociale del Sud Africa, il contrasto tra la cultura europea della borghesia e i valori emergenti del popolo di colore, le relazioni tra padre e figlia, l’accettazione delle regole della violenza, gli animali e i cani in particolare), mi sembra che il più interessante sia costituito dal tema della morte e dell’attesa della morte.
Il primo è affrontato dalla vicenda del protagonista, che si rende conto del tempo che è passato: "vaga senza scopo in giardino, un triste sentimento lo sta prendendo.
Non è soltanto perché non sa che cosa fare di se stesso.
Gli eventi del giorno prima lo hanno scioccato profondamente.
Il tremolio, la debolezza sono solo i primi e più superficiali sintomi dello schock.
Ha come la sensazione che al suo interno un organo vitale sia stato ferito e abusato, forse persino il suo cuore.
Per la prima volta sente che cosa significa essere un uomo vecchio, stanco nelle ossa, senza speranza, senza desideri, indifferente al futuro.
Sdraiato su una sedia di plastica tra il puzzo delle penne di gallina e delle mele in decomposizione, sente il suo interesse per il mondo defluire da lui goccia a goccia.
Ci vorranno settimane, forse mesi prima che resti senza sangue, ma si sta dissanguando.
Quando tutto ciò è finito, egli sarà come una mosca che si sta rinchiudendo in una ragnatela, fragile al tocco, più leggera di un chicco di riso, pronta a fluttuare via".
Il tema dell’attesa è trattato da Teresa, che aspetta per tutta la sua vita il ritorno di Byron, che è andato in Grecia a morire: "mio Byron, lei canta per la terza volta; e da qualche parte, dalle caverne dell’altro mondo, una voce risponde cantando, esitante, senza corpo, la voce di un fantasma, la voce di Byron.
Dove sei? Egli canta, e poi una parola che la donna non voleva sentire: secca.
È seccata, la fonte di ogni cosa".
E infine la conclusione terribile del romanzo, che sintetizza la disperazione del protagonista, la fine della vita, dell’attesa: "portandolo (il cane) nelle sue braccia come un pezzo di carne, rientra nell’infermeria.
Pensavo che lo volessi salvare per un’altra settimana, dice Bev Shaw: "Lo vuoi consegnare? Sì lo voglio consegnare" o l’autore con il termine give up intende "rinuncio, mi arrendo!".

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