Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

Gerusalemme liberata

scritto da Tasso Torquato
  • Pubblicato nel 1584
  • Edito da Einaudi
  • 664 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 24 giugno 2011

Gerusalemme Liberata racconta il momento culminante della prima crociata, quando Goffredo di Buglione nel 1099 conquistò Gerusalemme.
Può essere interpretato come un poema epico ( una sorta di Iliade cristiana), ma in realtà le chiavi di lettura sono ben più complesse di quelle dellʼopera omerica.
Innanzitutto, il poema è la narrazione di una purificazione, collettiva ed individuale: " così cantando, il popolo devoto con larghi giri si dispiega e stende, e drizza a lʼOliveto il lento moto" ( Canto XI verso 10).
Questo santo avanzare si scontra, in cruenti combattimenti, con i saracini ed anche con le forze del male: è una lotta tra forze sovrannaturali, degli inferi e del cielo.
Gli scontri, di eserciti e di cavalieri, sono uno dei filoni conduttori del poema e permette a Tasso di dimostrare una grande perizia e conoscenza dellʼarte della guerra e dei duelli, con un gusto dellʼorrido, che rimanda ai moderni film di avventura: " e tra ʼl collo e la nuca il colpo assesta; e tronchi i nervi e ʼl gorgozzuol reciso, gio rotando a cader prima la testa, prima bruttò di polve immonda il viso, che giù cadesse il tronco; il tronco resta ( miserabile mostro) in sella assiso, ma libero del fren con mille rote calcitrando il destrier da sé lo scote".
( Canto IX verso 70).
Ma che differenza tra i sogni di gloria militare e la realtà, dura e crudele ! In versi, sempre da ricordare, Tasso canta lʼassurdità della guerra.
Alla fine della battaglia " non vʼè silenzio e non vʼè grido espresso, ma odi un so che di roco e indistinto: fremiti di furor, mormori dʼira, gemiti di chi langue e di chi spira.
Lʼarme, che già sì liete in vista foro, faceano or mostra paventosa e mesta; perduti ha i lampi il ferro, i raggi lʼoro, nulla vaghezza a i bei color più resta".
( Canto XX versi 51 e 52).
Accanto alla componente epica cʼè la parte elegiaca e lirica, costituita da lunghi inserti paesaggistici e sentimentali.
È il versante più bello del poema, che fa perno sulla donna, che per Tasso è una figura complessa, ricca di tante sfumature, un mistero da scoprire.
Erminia, una delicata fanciulla saracina innamorata di Tancredi, un cavaliere cristiano, vorrebbe diventare una guerriera per stare vicina al suo eroe: " ah perché forti a me natura e ʼl cielo altrettanto non fèr le membra e ʼl petto, onde potessi anchʼio la gonna e ʼl velo cangiar ne la corazza e ne lʼelmetto" ( Canto VI verso 83).
Ma capisce Erminia che la guerra è degli uomini e lei può essere solo una docile moglie: " fugge Erminia infelice, e ʼl suo destriero con prontissimo piede il suol calpesta" ( Canto VI verso 111).
Ed Armida, la vera protagonista del poema, è maga, ingannatrice e conquistatrice di uomini, ma quando vede il suo Rinaldo, anche lui cavaliere cristiano, il suo odio si tramuta in amore: " ma quando in lui fissò lo sguardo e vide come placido in vista egli respira ....
di nemica ella divenne amante".
( Canto XIV versi 66 e 67).

Proprio la narrazione delle donne del poema e dei loro amori sfortunati verso i cavalieri cristiani rivela la complessità del mondo di Tasso.
Vorrebbe essere il poeta della contro riforma, della fede salda e priva di incertezze, ma in realtà si percepisce come il poeta ami il modo femminile, ne indaga i tormenti e i sentimenti, così come preferisce i vinti e gli infedeli.
A fronte di cavalieri cristiani rigidi ed impersonali ( Goffredo, Tancredi e Rinaldo) si confrontano personaggi complessi e ricchi di umanità: la dolce Erminia, la disgraziata Armida, il coraggioso Saladino e il feroce Argante.
Questi sono personaggi vivi, pieni di dubbi, di affetti e di ricordi.
È questo il mondo spirituale di Tasso, che riflette la sua angoscia: " vivrò fra i miei tormenti e le mie cure, mie giuste furie, forsennato, errante; paventarò lʼombre solinghe e scure che ʼl primo error mi recheranno inante, e del sol che scoprì le mie sventure, a schivo ed in orrore avrò il sembiante.
Temerò me medesimo; e da me stesso sempre fuggendo, avrò me sempre appresso".( Canto XII verso 77).
È questo il Tasso moderno, preromantico ed esistenziale, che ama i notturni: " sorge la notte intanto, e sotto lʼali ricopriva il cielo i campi immensi; e ʼl sonno, ozio dellʼalme, oblio deʼ mali, lusingando sopia le cure e i sensi" ma non cʼè pace, " ché la furia crudel gli sʼappresenta sotto orribili larve e lo sgomenta" ( Canto VIII versi 57 e 59).

Perché leggerlo ? È un lungo poema, talvolta noioso, con un verso difficile, perché denso ed involuto.
Ma quando Tasso si libera della religione, della fede, di ciò che deve essere detto, e lascia andare lʼispirazione, allora una lirica musicale e profonda avvince il lettore.

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