Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

Il convitto

scritto da Zadan Serhij
  • Pubblicato nel 2017
  • Edito da Voland
  • 306 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 28 marzo 2022
Il romanzo è il capitolo conclusivo di una trilogia: "La strada del Donbas (2009),  "Mesopotamia"(2014) e "Il Convitto"(2017). Come nel romanzo di Cesare Pavese "La casa in collina" (si veda la recensione in questo sito) Corrado chiedeva "un letargo, un anestetico, una certezza di esser ben nascosto" così da non farsi coinvolgere dalla Resistenza, così Pasa, il protagonista de "Il Convitto", a chi gli consiglia di fuggire risponde che "era solo un insegnante, un semplice insegnante (...) nient'altro che un insegnante, il resto lo interessava poco. Dove sarebbe dovuto andare, chi ci sarebbe stato ad aspettarlo, cosa c'era da temere, sarebbe andato tutto bene, lui era solo un insegnante". Ed è rimasto con il vecchio padre senza neanche seguire le notizie in televisione mentre  divampa la guerra nel Donbas tra ucraini e russi. "Nessuno sa come sia successo che le viscere della terra si siano spalancate sputando fuori quel nerume, (...) tutto prenderà fuoco come in una città medievale: casa dopo casa, strada dopo strada, tempo qualche giorno, e poi non ci sarà più nulla". A scuoterlo dall' ignavia è il rimorso per aver permesso che il figlio della sorella fosse rinchiuso in un convitto; vuole andare a riprenderlo anche se deve attraversare la linea del fronte, in mezzo ai combattimenti. Si mette in viaggio, in una peregrinazione che lo riporta sempre negli stessi luoghi come se non proseguisse verso una qualche direzione ma girasse "in tondo come un orso nel circo. (...) Da tre giorni cammino insieme a persone che neppure conosco. Come se una molla mi spingesse da dietro, m'impedisse di fermarmi. E la molla spinge anche loro, allo stesso modo, lontano da casa. Anche se almeno metà di loro non ha più né una casa né una famiglia. Vagano per la circonvallazione senza avere alcuna possibilità di uscirne. Girano in tondo intorno alla propria città. E anch'io giro con loro, non so perché". In un ambiente devastato dalle bombe e dalla violenza, dove non c'è pietà per nessuno, la peregrinazione di Pasa diviene un pellegrinaggio fuori dal tempo e dallo spazio (la guerra del Donbas del 2014): è come un cammino in un incubo, fatto di un miscuglio di personaggi, di distruzioni, di morte, di ricordi del passato. E' un sogno o la realtà? Perché quel soldato, suo ex scolaro, lo ha risparmiato? Perché hanno ucciso il custode del Convitto, l'unico insegnante che non era fuggito per custodire i giovani ospiti del convitto? Perché lui, così pavido e maldestro, si salverà? "L' illustrissimo dottore gli ha chiesto di assistere un ferito, un adolescente di vent'anni. "Tra poco se ne andrà, ora chiuderà gli occhi e sarà finita.(...) All'improvviso Pasa percepisce accanto a lui un'altra presenza, sconosciuta, ferma lì ad aspettare, pertinace.(...) Chi sta aspettando? Per chi è venuta? Di sicuro per me, immagina Pasa. E' lei che da tre giorni non mi perde d'occhio, è lei che emana questo greve odore di cane bagnato, è a me che dà la caccia, è contro di me che prende la mira.(...) A quel punto il ferito gli stringe la mano.(...) Percepisce che la morte lo aggira, si allontana e si avvicina all'altro.(...) Non guardare, si dice, non devi guardare, corri soltanto, corri più veloce che puoi, finché ne hai la forza e il tempo, corri e non ti voltare..."

Giovanna Brogi, l'ottima traduttrice dall' ucraino, nella sua postfazione interpreta il romanzo come un percorso di formazione di Pasa, il quale riflette sulla propria identità anche linguistica, prende coscienza della propria pusillanimità e comprende che deve scegliere dove stare. Questa interpretazione contrasta con l'incupimento metafisico dell'intero racconto dove non c'è una prospettiva di salvezza e rinascita. Si prenda un brano finale, ricco di simbolismo in contrasto con l'apparente iperrealismo del racconto. Abbiamo lasciato Pasa nella sua fuga dalla morte. "C'è una tale quantità di bianco da far sembrare che tutti i colori si siano esauriti.(...) Campi bianchi e l'asfalto nero della strada lungo il quale lui cerca di fuggire, che dovrebbe salvarlo.(...) E distingue netti i cani oscuri sul fondo bianco.(...) Sono sempre più vicini, feroci e impavidi, sanno che la vittima non può sfuggire, che non ha via di scampo, eccola, lì davanti a pochi balzi, ancora un attimo, qualche altro momento, e potrai saltarle addosso, conficcarle i denti nella gola mentre lei cerca di liberarsi, di ingannare la sorte". A Pasa non resta che la compassione, la "pietas" latina, espressa nelle ultime pagine dal nipote non più adolescente: il riconoscimento da parte del ragazzo della fragilità dello zio, forse, salva Pasa.

L'essenzialità della scrittura, le parole scarne, il ritmo incalzante accompagnato da lunghe sospensioni, la capacità narrativa di passare da un intenso realismo a un simbolismo onirico sono i tratti distintivi di questo capolavoro, una felice  sorpresa in un panorama letterario spesso banale. Che siano le condizioni essenziali dell'esistenza a creare opere di valore, ciò che non è possibile quando prevale la morbida e salottiera quotidianità? Non sarà che la letteratura europea abbia bisogno della guerra per rinascere? 

Perché leggerlo? E' interessante sotto il profilo storico, ma soprattutto è affascinante lo stile letterario: un capolavoro.

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