Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

L'ultimo amore di Baba Dunja

scritto da Bronsky Alina
  • Pubblicato nel 2015
  • Edito da Keller Editore
  • 165 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 aprile 2022
"Ha un viso piccolo e rugoso e occhi stretti castano scuro. E' minuscola e rotonda, arriva a stento a un metro e mezzo". E' Baba Dunja e così la descrive un giornalista, ma basterebbe il nome che l'autrice le ha dato: baba sinonimo di vecchia e dunja un vezzeggiativo che nello slavo meridionale sta per "mela cotogna". A differenza di Baba Jaga, la strega nelle fiabe russe, Baba Danja è buona, pronta a farsi carico della sua piccola comunità, Cernovo, il paese della morte. Solo avanti nella lettura scopriamo che Cernovo è vicino alla centrale di Cernobyl e si trova in una zona radioattiva, un villaggio abbandonato e abitato da uno sparuto gruppo di esuli, in cerca della solitudine e della morte. "Il paese ha una sua storia, che si accavalla alla mia, come due ciocche di capelli in un'unica treccia". Ci sono i vivi, pochi: Marja, la grassa e pigra vicina di casa ("la sua bellezza di un tempo non è del tutto svanita, è ancora in questa stanza come uno spettro"), Sidorov, un vecchio matto innamorato di Marja, Petrov, un giovane con poco tempo da vivere, Lenocka, "che da dietro sembra una ragazzina e davanti una bambola", e i Granilov, marito e moglie, "passando davanti al loro terreno si sente profumo di miele e olio di rosa". E ci sono i morti: "il vecchio liquidatore con la camicia a righe, (...) il bambino nato morto nelle mie mani, (...) la madre ha sollevato un lembo dell'asciugamano e ha sorriso. (...) Presto l'avrebbe seguito. (... La ragazzina con la treccia rossa....(...) Sono questi i miei morti che mi hanno seguito fino a Cernovo e ce ne sono altri ancora che mi sono passati davanti, a dozzine, insieme ai lori gatti e cani e capre". In questo paesaggio sospeso tra i vivi e i morti il tempo pare non scorrere, nell'attesa serena della morte. Quando irrompe nella piccola comunità un uomo con una bambina, quest'ultima destinata inevitabilmente a morire a causa degli effetti delle radiazioni sul fragile sistema immunitario. Quando Baba Dunja lo invita ad andarsene in fretta l'uomo reagisce con violenza, gettando a terra la vecchia. Interviene Petrov a difesa della donna, uccidendo l'uomo. A questo punto tutti gli abitanti vengono arrestati o chiamati come testimoni. Basterebbe dire che è stato Petrov, ma ancora una volta la strega buona delle fiabe si fa carico del piccolo gruppo dei vivi di Cernovo: si dichiara solo lei colpevole del delitto. Baba Dunja del paese dei morti diviene famosa, ha salvato una bambina, facciamola morire in pace povera vecchina! Mandiamola in Germania dalla figlia! Graziata dal presidente, l'attende l'aereo per andare dalla figlia, lontana dal paese dei morti. "Alla fine ho imparato pure io (dice Baba Dunja alla figlia). (...) In effetti ho imparato a sorridere dopo essere tornata a Cernovo. (...) Cammino per più di tre ore. E come se la strada si fosse allungata, come se Cernovo fosse indietreggiata durante la mia assenza". (...) Le case di Cernovo emergono all'orizzonte, come sparuti denti storti all'interno di una bocca. (...) Speriamo almeno che ci sia qualcuno, penso, se non c'è nessuno, vorrà dire che vivrò da sola, con tutti gli spiriti e gli animali."

Baba Dunja ricorda la protagonista di un recente romanzo di Alina Bronsky: "la treccia della nonna" (vedi recensione in questo sito): qui però la nonna è dolcissima, intrisa di amore per tutti gli esseri viventi e pure per i morti. Viene da chiedersi perché tanta forza interiore Baba Dunja non l'abbia messa per dare aiuto alla figlia e alla nipote, sperse nella solitudine delle grandi città.  Per me il motivo è chiaro: Baba Dunja può stare in pace con sé stessa e con gli altri solo a Cernovo, nel suo luogo. E' vero, la fabbrica è abbandonata, nessuno lavora i campi da decenni, "al di sopra di tutto crescono rigogliose erbacce verdi e piante dalle foglie grandi, con leggeri riflessi violetti", ma Cernovo è dove si è sposata, ha cresciuto i propri figli, dove mangiavano i dolci di cioccolato donati dalla fabbrica per il Capodanno.  Si può  crescere a Capri o nel quartiere Tamburi a Taranto, a ridosso dei veleni della grande acciaieria, aver trascorso l'infanzia o avere figli in un posto splendido o schifoso, ma sempre si vuole tornare nel proprio luogo. Cernovo, proprio perché "paese della morte", per le sue condizioni estreme è la metafora di quanto sia importante per noi il nostro spazio fisico: il paesaggio, gli odori e i rumori, le vie e le piazze, gli abitanti e gli animali con le loro facce quotidiane., usuali tanto da essere parti di noi stessi. "In nessuna parte di terra mi posso accasare, (...) Cerco un paese innocente", così canta Ungaretti in "Girovago" (dalla raccolta Allegria).

Dapprima la scrittura è fatta di frasi brevi, elementari, quasi tronche, tanto da dare l'impressione di una penna insicura. Poi lo stile narrativo prende il volo: emerge il paesaggio, prendono intensità i ricordi e i sentimenti, i personaggi sono descritti con tinte soffuse ma efficaci tanto rimanere impressi, i dialoghi danno ritmo narrativo. Se si può fare un appunto è che alla fine il racconto assume toni melodrammatici e dolciastri di cui si avrebbe fatto volentieri a meno.

Perché leggerlo? Affascinante nella sua dolcezza la figura di Baba Dunja, una bella metafora dell'importanza dei luoghi

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