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ma non lo rileggerei

Il partigiano Johnny

scritto da Fenoglio Beppe
  • Pubblicato nel 1968
  • Edito da Einaudi
  • 480 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 08 luglio 2013

Le vicende tra lʼ8 settembre 1943 e il febbraio 1945 costituiscono lo sfondo storico del romanzo.
Sono gli anni della guerra partigiana.
Allievo ufficiale a Roma, Johnny ha lasciato lʼesercito, come molti altri dopo lʼannuncio dellʼarmistizio e la generale confusione che ne è seguita.
È ritornato a casa, ad Alba.
Giovane intellettuale, appassionato di letteratura inglese, appartiene ad una famiglia della piccola borghesia.
I genitori vorrebbero che si nascondesse, quieto, senza esporsi.
Ma il giovane decide di abbandonare " una posizione fluida, rimediabile da ogni mortale impatto mediante finzioni e sotterfugi o astuzie", per schierarsi invece " nel grande dualismo a prezzo dellʼimmediata, indisquisibile esecuzione".
Ed allora " partì verso le somme colline, la terra ancestrale che lʼavrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero ...
in nome dellʼautentico popolo dʼItalia, ad opporsi al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente".
Si imbatte in una banda garibaldina, che fa capo quindi ai comunisti.
Come tanti suoi compagni, non gli interessano le idee politiche, importante è combattere il fascismo.
Conosce Tito, un giovane e scaltro contadino, così lontano da lui per cultura ed origini sociali, ma così vicino per fratellanza partigiana.
Era " felice ed ansioso di mischiarsi agli uomini, a tutti.
Avevano combattuto con lui, erano nati e vissuti, ognuno con la sua origine ...
per trovarsi insieme a quella battaglia".
Uccide il suo primo uomo: " il ragazzo danzava a trenta metri, accecato dal suo stesso coraggio ...
Johnny gli sparò senza affanno, senza ferocia ....
si aderse sui gomiti nellʼascensionale sospensione davanti al suo primo morto".
Lo scontro con i fascisti dissolve la banda, troppo male armata per poter resistere.
Johnny va alla ricerca di un altro esercito partigiano ed incontra i così detti badogliani, più vicini alle sue idee politiche.
Ritrova un ambiente borghese a lui più famigliare ed è con loro, nei paesi collinari intorno ad Alba, che trascorre il lungo periodo di stallo dellʼ inverno tra il 1943 e il 1944.
Anche se meglio organizzati ed equipaggiati delle squadre garibaldine, sono totalmente impreparati a resistere allʼattacco dei fascisti e dei tedeschi nellʼestate del 1944.
La lotta è durissima ma impari.
Johnny vede morire molti dei suoi compagni, si riduce con un piccolo nucleo, tra cui gli amici Pierre ed Ettore, con i quali si rifugia presso una fattoria.
Ma Pierre si ripara in città, dove è più facile nascondersi, mentre Ettore viene catturato insieme con la contadina, che li ha accolti e rifocillati.
Affronta disperato e solo il lungo e rigido inverno tra il 1944 e il 1945.
Si nasconde nelle zone più selvagge del bosco, nei dirupi creati dai torrenti, cercando talvolta cibo e riparo presso i contadini, a loro volta stremati ed impauriti.
" Il cuore gli si fendeva per la brama dellʼantica comunità, la faziosa, criticabile, a volte repellente comunità, e dei vecchi campi di battaglia e della compagnia dei vivi, dei morti, dei catturati ...
Anelava al reimbandamento, per esso avrebbe dato metà del suo sangue, Dovʼè Nord ( il soprannome del comandante partigiano) ...
il 31 gennaio è una data assurda per ritrovarci.
Quel mattino ti alzerai e chiamerai ma ti risponderà soltanto il silenzio delle colline".
Alla fine dellʼinverno, dellʼingenuo e idealista studente rimane ben poco.
La perdita degli amici più cari, le stragi alle quali ha dovuto assistere, il freddo, la fame, la sporcizia lo hanno trasformato in un combattente solitario.
Quando, a gennaio 1945, ritornano a riorganizzarsi ed a ingrossarsi le file partigiane ( ormai si avvicina lʼavanzata finale degli alleati), " Johnny non si trovava più, quel patch, lungi dal scancellarsi, si ampliava.
Non sopportava più comunanza né routine, scapolava la collettività, la perlustrazione e la guardia".
Il grido ingenuo, " Viva Noi !, sempre fino alla fine della storia umana", che aveva espresso quando si sentiva profondamente unito ai suoi compagni, si è trasformato in un senso di insoddisfazione, di delusione verso gli altri, che lo conduce a disubbidire e a cercare una morte coraggiosa e solitaria.

Il romanzo è la prosecuzione ideale di Primavera di bellezza, altro capolavoro di Fenoglio.
Se in quel libro lo scrittore ha narrato la maturazione politica di un giovane, che prende coscienza di che cosa è stato il fascismo e della necessità di lasciare una testimonianza individuale di rivolta, in " Il partigiano Johnny" Fenoglio racconta la storia partigiana di un ragazzo e di come le vicende della guerra e la durezza dellʼambiente abbiano lasciato una impronta indelebile, ed imprevedibile, nella sua personalità.
Pur sempre convinto di " dir di no fino in fondo", di non arrendersi mai, alla fine della guerra Johnny non riesce più a sentirsi parte di una comunità più vasta, lʼesercito partigiano, ma vuole combattere da solo i fascisti, come un eroe solitario.
E via via che si procede nella lettura mutano sia la lingua che il rapporto tra Johnny e lʼambiente.
Se allʼinizio del romanzo la scrittura è ricca di termini inglesi, quasi ad esprimere il mondo letterario del protagonista, pian piano le parole anglosassoni si fanno più rade e si giunge al punto che Johnny tradisce lʼamata lingua inglese, rifiutando il ruolo di interprete, per preferire quello di combattente.
Nello stesso modo la collina è inizialmente uno sfondo, per assumere nel proseguimento del racconto una funzione crescente di protagonista, quasi amalgamandosi con la nuova personalità di Johnny.
Il bosco, i burroni, i paesi arroccati sulla montagna, la nebbia e il gelo, il mondo contadino, con le sue bestie e i suoi cani feroci o amichevoli, sono il nuovo mondo del protagonista, che, come un novello Robin Hood, porta avanti la sua battaglia solitaria contro i cattivi.
Da questo punto di vista il libro di Fenoglio è una splendida narrazione della Resistenza, ma non di quella retorica, che vorrebbe esaltare la storia collettiva e la nascita di una coscienza nazionale.
Paradossalmente nel romanzo il percorso è opposto: da una visione civile e politica, anche se ingenua e grezza, il protagonista perviene ad una concezione individualista e disincantata del mondo ideale della guerra partigiana.

Il grande fascino di Fenoglio è la creatività espressiva della lingua: " una lingua non grammaticalizzata, duttile, scomponibile e ricomponibile, nei suoi elementi costitutivi, con estrema mobilità...
una lingua magmatica con cui collaborare creativamente.
Il risultato è una prosa incessantemente produttiva di neoformazioni lessicali, morfologiche e sintattiche" ( Dante Isella: la lingua del partigiano Johnny).
Poteva essere una interessante direzione di sviluppo della letteratura italiana.
Nessuno lʼha seguita, perdendo lʼoccasione di dare nuova ed originale linfa ad una lingua ormai stantia, quale quella italiana.

Un elemento di debolezza del romanzo è la scarsa compattezza, che porta ad una trama narrativa spesso dispersiva.
La focalizzazione sulla figura del protagonista non fornisce dinamicità e dialettica al sistema dei personaggi, i quali, a loro volta, non hanno sufficiente spessore ed autonomia per contrastare lʼinvadenza del personaggio Johnny.
È un libro epico ed individualista per eccellenza.

Perché leggerlo ? È un libro affascinante, in particolare per la sua lingua.

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