Gradimento Medio-basso
e non lo rileggerei

L'ombra delle colline

scritto da Arpino Giovanni
  • Pubblicato nel 1964
  • Edito da Mondadori
  • 228 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 maggio 2010

Il romanzo si apre con un sogno.
Il protagonista, Stefano che è anche lʼio narrante, viene condotto dallʼamico Francesco a caccia, tra le colline del suo Piemonte.
Il bosco è un insieme di " cascate e piramidi di usignoli riuniti", un paradiso di felicità; e poi improvvisamente le " chiome degli alberi erano cumuli di minuscoli teschi corrosi, verdastri, che a milioni tintinnavano sinistramente gli uni contro gli altri".
Il sogno è premonitore del senso del romanzo, che si sviluppa tra il ricordo e la vita presente, tra la violenza vissuta e immaginata da un lato e il " gomitolo della cose quotidiane" dallʼaltro." Devo sforzarmi a ricordare.
Devo provarmi perché questi ricordi giacciono sepolti, in ispida confusione e separati da me.
Sono stato bene, normale e lieto e aggressivo finché mi è riuscito di vivere al di fuori di me".
La casa di campagna è un riferimento importante per il protagonista, per la natura che la circonda e per i fatti terribili che gli sono successi nella sua giovinezza: la morte del nonno, lʼuccisione di un soldato tedesco, la partecipazione alla guerra partigiana.
Stefano vive ormai a Roma, uomo di successo, ma unʼ inquietudine crescente gli ha impedito di sposarsi e porta avanti una monotona relazione con la sua ormai ex fidanzata.
La decisione di compiere insieme una visita nella vecchia casa di campagna, dove vive ancora lʼarcigno padre, sembra poter riaccendere il rapporto tra i due, ma il peso del ricordo è troppo forte.
" Sono cresciuto tra i morti, Lu, e ho potuto metterli da parte, collocarli lontano, a furia di sperare nella pace, nella comune e lunga vittoria ...
E oggi, questi morti è giusto che io torni a scrutarmeli accanto ....
Non spaventarti, Lu, tanto tutto andrà avanti come prima, come sempre, persino noi ! persino per colpa nostra !".
Il ritorno nei luoghi della giovinezza non serve.
" Forse, conclude lʼautore, ci toccherà soggiacere a unʼeterna rassegnazione".
È un illusione sperare che il ritorno al passato possa liberare dagli incubi che derivano dal ricordo e dalla delusione delle speranze e dei desideri della giovinezza: solo vivere " nellʼumile alba di ogni giorno", senza progetti e senza sogni, può dare un poʼ di pace.

È un romanzo profondamente pessimista, dove la scrittura si esprime al meglio proprio quando assume accenti lirici ed evocativi, come nella descrizione delle colline e nella narrazione dei sogni.
Sullo sfondo compaiono i grandi fatti del dopoguerra ( lo smarrimento per il crollo del fascismo, la resistenza, il fallimento della mancata attuazione dei cambiamenti attesi), ma ciò che interessa allʼautore è dare il senso di un dolore esistenziale e vi riesce proprio con la lingua, con lʼuso sapiente degli aggettivi e della punteggiatura.
Quando, invece, passa a tratteggiare i caratteri e a costruire i dialoghi, si assiste ad una caduta del ritmo narrativo, che diviene monotono e ridondante.

Perché non leggerlo ? Alcuni brani sono molto belli e trattano di un tema molto attuale: la delusione dellʼItalia di oggi.
Ma nel complesso il romanzo risulta noioso e prolisso.

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