Il romanzo fa parte di una trilogia insieme con altri due libri, No Longer at Ease (1960) e Arrow of God (1964): un grande affresco dellʼimpatto della colonialismo sulla società africana.
In questo racconto il contesto è costituito dai nove villaggi di Umuofia,in Nigeria; il periodo storico è quello che precede immediatamente lʼarrivo dei colonizzatori.
"Le cose che crollano" narra, appunto, della fine di una civiltà contadina, plasmata dal ciclo delle stagioni e governata da regole sempre uguali a sé stesse.
È un mondo fatto di certezze e nel contempo magico, "popolato di vaghe, fantastiche figure"; gli uomini sono immersi in una natura vivente e sono abituati ad accettarne la benevolenza insieme con lʼira.
La vita dellʼuomo "dalla nascita alla morte era una serie di riti di transizione che lo portava sempre più vicino ai suoi antenati".
Achebe descrive questa società con splendide ed eleganti forme elegiache; lo fa senza compiacimento e nostalgia, perché le sicurezze derivano anche dallʼaccettazione collettiva di una rigida gerarchia e di una immobilità che imprigiona gli esseri umani.
Lʼarrivo del conquistatore bianco, e della sua religione, non distrugge un mondo idilliaco, dissolve pure leggi e costumi spesso crudeli e incomprensibili, e lascia "Umuofia come un animale stupefatto con le orecchie ritte, sniffando lʼaria silenziosa e minacciosa, e non sapendo quale direzione prendere".
Sarebbe, tuttavia, riduttivo leggere il romanzo solo nei suoi aspetti sociali e politici; esso narra la storia di un uomo, parla del potere e della sua caduta.
Okonkwo è un grande guerriero, la cui fama va oltre Umuofia, tanto da essere considerato dagli anziani "uno dei più valorosi da quando il fondatore del loro clan combatté uno spirito della natura selvaggia per sette giorni e sette notti".
Le ricche proprietà e la grande casa, le numerose mogli e i tanti figli permettono ad Okonkwo di ambire ai ranghi più elevati della società.
Per lʼuomo è il riscatto verso il padre, il quale aveva dilapidato e disonorato la famiglia.
È un grande riconoscimento quando gli anziani del villaggio decidono di affidare a Okonkwo un ragazzo di unʼaltra tribù, dato come risarcimento per lʼuccisione di una giovane di Umuofia.
Ikemefuna è solido e forte, ben presto conquista la stima e lʼaffetto di Okonkwo.
Ah ! se fosse lui il suo figlio maggiore, e non invece Nwoye, così fragile da assomigliare al padre di Okonkwo ! Si crea anche una intensa amicizia tra Ikemefuna e Nwoye, il primo nelle parti di fratello maggiore, protettivo ed energico ad un tempo.
"Lʼoracolo delle Colline e delle Caverne" pronuncia la sentenza di morte di Ikemefuna; deve essere ucciso come vuole una legge inflessibile e immutabile per chi è stato dato in riparazione di un delitto.
"Questo ragazzo ti chiama padre.
Non mettere mano alla sua morte", suggerisce un anziano, annunciando ad Okonkwo la decisione del villaggio.
Okonkwo sarebbe esentato dal partecipare allʼorrenda esecuzione; ma non può ritirarsi perché ha un ruolo sociale al quale vuole attenersi.
E così Okonkwo segue Ikemefuna nel suo inconsapevole tragitto verso la morte.
Il povero ragazzo ricorda le parole che le cantava la mamma: "si sentiva come un bambino una volta ancora.
Deve essere il pensiero di andare a casa da sua madre".
Viene colpito e urla "Padre mio, mi hanno ucciso ! Confuso dalla paura Okonkwo tirò fuori il macete e gli diede il colpo finale.
Temeva che fosse considerato un debole.(...) Nwoye aveva sentito che i gemelli erano messi in vasi di terracotta e gettati nella foresta, ma non si era mai imbattuto sinʼora in essi.
Vaghi brividi erano discesi su di lui e la sua testa sembrava annebbiarsi, come un solitario viaggiatore che di notte incontra un spirito del male sulla sua strada.
Poi qualcosa era andato via dal suo animo.
Discese su di lui di nuovo, questa sensazione, quando suo padre entrò quella notte dopo aver ucciso Ikemefuna," Inizia con questo episodio la caduta di Okonkwo, dʼaltra parte ciò che ha fatto è "il tipo di azione per cui la divinità annienta unʼintera famiglia".
Durante una festa Okonkwo uccide senza volerlo un giovane di Umuofia: la legge vuole che debba andare in esilio per sette anni, lui e tutta la sua famiglia.
Egli accetta il destino; "chiaramente il suo personale dio o "chi" non era fatto per grandi cose".
Egli sa anche che quando tornerà al suo villaggio non potrà più ambire ai vertici della società, per quanto possano essere grandi il suo valore e la sua ricchezza.
Se Okonkwo si piega alle leggi ancestrali, non può in alcun modo accettare le regole del colonizzatore, soprattutto quando queste lo colpiscono personalmente: il figlio maggiore Nwoye si è convertito al cristianesimo, abbandonando la famiglia, le tradizioni e le antiche divinità.
Quando, poi, si accorge che Umuofia si arrende senza lottare, compie un atto individuale di rivolta: taglia la testa al messaggero dellʼuomo bianco, un traditore della propria gente.
Non gli resta che darsi la morte, impiccandosi: il suo mondo è crollato.
Come nelle tragedie di Eschilo Okonkwo sembra essere mosso solo dal dio, dal suo "chi", dalle regole ancestrali, dai riti senza tempo: non ha colpa, in fondo, se partecipa allʼuccisione di Ikemefuna.
Achebe è uno scrittore troppo grande per cadere in stereotipi: un tratto importante del romanzo è proprio la psicologia dei personaggi; essi si muovono allʼinterno delle loro contraddizioni di uomini, tra regole sociali, affetti ed aspirazioni.
Erinna, la figlia prediletta di Okonkwo (ah se fosse un maschio !) viene rapita da una vecchia indemoniata per portarla alla dimora della divinità della caverne.
La madre la segue, disperata, ma non ha il coraggio di entrare dentro lʼantro, tanta è la forza delle religioni antiche.
Arriva Okonkwo con il macete, grande guerriero, pronto a difendere e, se necessario, a liberare la figlia prediletta, anche contro la volontà del dio.
Ma allora, ci chiediamo, perché la stessa scelta non era pronto a compiere per Ikemefuna e per Nwoye? Per ambizione o semplicemente perché non li amava abbastanza? E poi, perché il Dio lo punisce, anche se lui si era comportato come volevano le crudeli regole ancestrali? Ed ancora perché si è suicidato pur sapendo che colui che si dà la morte può essere seppellito solo da estranei, portando alla rovina lʼintera famiglia? Come é scritto nellʼintroduzione, "i personaggi di Achebe non cercano il nostro permesso per essere umani, non chiedono scusa per essere complessi (o per essere Africani, o per essere umani, o per essere così straordinariamente vivi").
Lʼambiente, la storia e i personaggi avvincono perché sono narrati con una scrittura pressoché perfetta; semplice, fluida, capace di mescolare lʼinglese con la lingua locale, in grado di trasmettere il fascino ambiguo di una civiltà e i sentimenti così veri e ricchi dei personaggi.
È vero che si parla di Africa, ma la scrittura raffinata e il ritmo narrativo, con le sue sospensioni e lʼalternanza di momenti sereni e drammatici, ci conducono in una dimensione universale: ciò di cui si parla è il destino eterno dellʼessere umano, oltre il tempo e lo spazio.
Perché leggerlo ? Affascinante, un capolavoro.