Sconsiglio vivamente
e non lo rileggerei

Il ragazzo selvatico: quaderno di montagna

scritto da Cognetti Paolo
  • Pubblicato nel 2013
  • Edito da Gedi Passioni
  • 137 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 06 gennaio 2025
E' difficile non lasciarsi influenzare dalla notizia della grave depressione che ha colpito Cognetti (si veda il sito del Corriere della Sera 20 dicembre 2024). Il lungo "quaderno di montagna", (sottotitolo del racconto) pare annunciare quella "sindrome bipolare con fasi maniacali", che ha richiesto un trattamento sanitario obbligatorio.  O invece di lasciare la città, andare a vivere in una baita isolata, è stato l'ultimo illusorio tentativo di superare un vuoto che <<non avevo mai sperimentato>>?. Il racconto è scritto in forma di diario, che segue il ciclo delle stagioni, a ognuna delle quali corrisponde uno stato d’animo di Cognetti: l’inverno la solitudine, la primavera la compagnia degli altri, l’estate l’esplorazione e la fine dell’avventura, l’autunno il rientro in città. La prima tappa di questo viaggio salvifico è la solitudine, in una casa nel bosco, lontano dai rumori degli altri esseri umani. Vennero poi dei vicini, i pastori e le bestie degli alpeggi, <<così avevo qualcosa da osservare, oltre alle nuvole che portavano piogge interminabili. (...) Se mi svegliavo presto la mattina potevo spiare il pastore anziano che spostava i confini del pascolo, avanzando i paletti di qualche metro al giorno in modo da razionare l'erba. (...) E allora sette vitelli e una trentina di mucche adulte si precipitavano giù, verso la nuova striscia di erba alta. (...) Ma il cambiamento più grande, nella mia vita quotidiana, fu provocato dai cani, (...) avevano un campanello appeso al collo grazie a cui li sentivo arrivare da lontano. (...) Dopo quasi due mesi alla baita, insieme alla primavera stava per finire la mia stagione di solitudine>>. Questi vicini, i pastori, i cani, le capre, e le "baracche", ossia le mucche, sono descritte in modo minuzioso ma senza che si crei una qualsiasi atmosfera, paiono corpi estranei alla psicologia dell'autore narratore, dei comprimari inutili di un dramma interiore. Infatti, con l'estate Cognetti fa un passo ulteriore. << Volevo spingermi più in là della zona che conoscevo, scoprire che cosa c'era a due e tre giorni di cammino. Partivo bello carico, eppure chiudendomi la porta alle spalle mi sembrò di liberarmi di un peso. (...) Da che altro scappiamo se scappiamo da casa? Addio, disse il ragazzo selvatico al domestico, poi gli girò le spalle e prese di nuovo il sentiero che saliva>>. Ecco ancora la trappola della montagna! Immaginare che ci sia qualcosa di magico là in alto, che ci possa liberare dal mistero che è in noi. Non è così! Il lago vagheggiato a 2.700 metri di altezza è solo un banale specchio d'acqua, << potevi pure passare senza accorgerti di lui. (...) Fu allora che sentii un groppo salirmi in gola, gli occhi che si appannavano. E piangi, pensai, non ti vede nessuno. Mi misi a singhiozzare sdraiato su quel sasso perché ero stanco, mi mancavano tutti quanti e non sapevo più dov'ero. (...) Più che a una capanna nel bosco; la solitudine assomigliava a una casa degli specchi: dovunque guardassi trovavo la mia immagine riflessa, distorta, grottesca, moltiplicata infinite volte>>.  

Perché è così diffusa l'idea che la montagna elevi lo spirito umano e dia equilibrio e serenità? I pascoli, i laghi alpini, i sentieri tra i boschi, le alte cime sono solo dei luoghi che noi mitizziamo per romanticismo, o perché siamo disperati, immersi come siamo nel chiacchiericcio della città, o più banalmente perché ci muove uno spirito competitivo, di esaltazione della nostra potenza. Cognetti narra il fallimento di questo miraggio, non c'è pace se non lavorando su se stessi.

La scrittura è piana, facile e fluida. Sono pregi indiscutibili che tuttavia non sono in grado di scavare il mondo interiore dell'autore né riescono a stimolare l'immaginazione del lettore. Si va avanti per inerzia, senza essere coinvolti.

Perché non leggerlo? E' inutile.

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