Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Il libro nero

scritto da Pamuk Orhan
  • Pubblicato nel 1996
  • Edito da Frassinelli
  • 496 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 27 dicembre 2005

Il romanzo si sviluppa intorno a due figure: Galip è un giovane avvocato, che è stato abbandonato dalla moglie e si mette alla sua ricerca, inseguendo le tracce lasciate dall’altro personaggio del romanzo, Celal.
Questi è un giornalista, che cura una rubrica da molti anni, ed è il cugino di Galip e fratellastro della moglie.
Il libro si sviluppa su due voci.
Una voce in terza persona racconta il girovagare di Galip per Istanbul sulle tracce della moglie e del cugino.
Celal, in prima persona, riprende considerazioni, anche paradossali ma sempre suggestive, della rubrica per sviluppare meditazioni sull’esistenza e sulla società turca.
È un libro molto denso, complesso e prolisso, con un ritmo narrativo molto lento e per molti tratti noioso.
Un primo tema è senza dubbio il contesto, costituito dalla società turca, in bilico tra l’Europa e l’Asia, tra la modernità e la tradizione islamica, sempre sul punto di liberarsi della nostalgia della grandezza del passato ma risucchiata in qualche modo dalla storia.
In un’intervista l’autore ha affermato che "turco è sinonimo di confusione", e questa affermazione appare il tema dominante del libro, in particolare della prima parte.
Dai connotati sociologici e culturali si passa rapidamente a un tema esistenziale: niente appare per ciò che è veramente.
L’ex-marito della moglie, militante dell’estrema sinistra, vive volutamente una vita borghese con moglie e figli.
Un vecchio amico raccoglie in modo ossessivo la documentazione sui movimenti politici di sinistra, dalla cui lettura emerge una confusione totale di nomi e di fatti, spesso inventati.
Una compagna di scuola si è sposata con un uomo perché assomigliava a Galip e pensava di poter vivere in questo modo con lui, invece che con il marito.
Gli oggetti stessi hanno un doppio significato: "a fargli paura era la sensazione precisa che quegli oggetti avessero un significato diverso.
..
A che cosa serve?, chiese lui.
..
è una gamba di tavolo, rispose l’altro, ma c’è gente che le infila nell’orlo delle tende.
Si potrebbe anche farne una maniglia.
Che fare per penetrare nel mondo arcano dei secondi significati e scoprire il mistero?".
Si apre, a questo punto, un tema filosofico: c’era un’era felice nella quale le parole ("le lettere") rappresentavano pienamente il significato dell’oggetto e quindi il racconto e la vita corrispondevano.
"In quell’Età dell’oro, gli oggetti che mettevamo nelle nostre case coincidevano con quelli che sognavamo.
..
tutti sapevano perfettamente che le parole e ciò che esse descrivevano erano fatti talmente contigui, che, nelle mattine di nebbia, parole e significati arrivavano a confondersi.
Al risveglio la gente non sapeva distinguere i sogni dalla realtà, la poesia dalla vita, i nomi da chi li portava.
Racconti e vite erano talmente reali che nessuno avrebbe mai nemmeno concepito di chiedere dove finissero le une e dove cominciassero le altre.
I sogni venivano vissuti e le vite interpretate a fondo".
La scissione tra parole e oggetti, tra poesia e realtà, tra sogno e vita, conduce alla solitudine e all’incomunicabilità tra le persone e tra queste e gli oggetti: "il mondo in cui voleva entrare non era questo ma un’altra sfera, che Celal aveva trascorso la vita a creare.
Secondo lui, Celal, chiamando le cose con il loro nome e raccontando storie, aveva a poco a poco circondato di mura il mondo dove si era segregato, nascondendo le chiavi".
Si può essere se stessi? Si può ricongiungere il racconto con la vita? Sì, ma solo nell’immobilità di manichini, di oggetti freddi, che, più ancora di quelli vivi, riescono a dare l’esatta rappresentazione della vita.
Il capitolo chiave del libro è quello, bellissimo, della visita ai sotterranei di un costruttore di manichini; in questo luogo che si trova al di sotto della vita rappresentata ("i manichini pubblicitari"), questa persona aveva continuato la tradizione familiare di costruire manichini che rappresentassero veramente i personaggi e le figure della realtà.
Ma se solo i manichini permettono di ricongiungere racconto e vita non è quindi solo la morte il momento in cui si realizza l’Età dell’Oro? Il libro appare per molti versi intellettualistico e noioso, richiuso in temi filosofici ed esistenziali che fanno perdere di smalto al racconto e agli stessi personaggi.
Si presenta inoltre frammentario e ridondante.

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