" Il colpevole non è solo quel libro, il libro che ha ingannato mio figlio, ma tutti i libri, che escono dalle tipografie, sono tutti nemici del nostro tempo, della nostra vita".
Così dice nel romanzo " La nuova vita" il padre del protagonista, riferendosi al libro alla cui ricerca è dedicato il vorticoso viaggio del figlio attraverso la Turchia.
E in un altro passo dello stesso romanzo Pamuk chiarisce come " un buon libro sia un pezzo di scrittura in cui si spiegano cose che non esistono, una specie di assenza, una specie di morte.
Ma è inutile cercare fuori dal libro il paese che si trova al di là delle parole".
Sono riflessioni cupe e disperate, che sembrano condurre, tramite la letteratura, alla solitudine, allʼincomunicabilità tra le persone e tra queste e gli oggetti, ad un mondo, dove ci si segrega, " nascondendo le chiavi" ( da Il libro nero).
Si può congiungere il racconto con la vita o ciò è possibile solo nella immobilità dei manichini, così brillantemente favoleggiati nellʼultimo capitolo dellʼ Il Libro nero ? È con la speranza di chiarire cosa pensa veramente Pamuk che si affronta la lettura di questo libretto, il quale riporta alcune conferenze dellʼautore.
Ed ancora una volta Pamuk ci sorprende.
Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del premio Nobel, lʼautore affronta il tema della letteratura narrando un emblematico episodio della sua vita, una sorta di metafora, ma reale.
Racconta come il padre avesse custodito in una valigetta alcune pagine scritte durante un soggiorno giovanile a Parigi.
Per lungo tempo Pamuk ha avuto paura di aprire la valigetta " e leggere i suoi taccuini perché sapevo che lui non avrebbe tollerato le difficoltà che avevo sopportato io, che non era la solitudine che lui amava, bensì mescolarsi agli amici, alla folla, i salotti, gli scherzi, la compagnia...
In realtà ero arrabbiato con mio padre perché non aveva vissuto come me, non aveva sofferto inquietudini e aveva passato la propria vita felicemente, ridendo e scherzando con le persone a cui era affezionato...
( e solo talvolta) mio padre si allungava sul divano davanti ai suoi libri, lasciava cadere il volume o la rivista che aveva in mano e si perdeva a lungo nei suoi pensieri, nei sogni".
Nelle differenze tra il padre, conciliato con il mondo, ed il figlio, in rotta con sé stesso e con il contesto che lo circonda, sta lʼinfelicità, o meglio la ricerca di una felicità irraggiungibile: " essere scrittori significa prendere coscienza delle ferite segrete che portiamo dentro di noi, ferite così segrete che noi stessi ne siamo a malapena consapevoli, esplorarle pazientemente, studiarle, illuminarle e fare di queste ferite e di questi dolori una parte della nostra scrittura e della nostra identità".
Lo scrivere è come una medicina, che " sa di inchiostro e carta", che se non è possibile prenderla, " sento che lʼinfelicità mi trasforma in una specie di uomo di cemento".
Chiudersi in una stanza a scrivere è " riuscire a trovare la speranza per fare passare la giornata, anzi essere felice e gioire se il libro o la pagina che ti porta in un nuovo mondo sono buoni".
I romanzi " sono modellati per portare con felicità i sogni che i romanzieri vogliono sognare.
Così come regalano felicità al buon lettore, offrono al buon scrittore un nuovo mondo solido e sicuro dove egli può fuggire ed essere felice a ogni ora della giornata".
Scrivere e leggere sono una fuga dalla realtà, in un mondo da noi stessi creato, " pazientemente, come se scavassi un pozzo con un ago, mi appare allora più reale di tutto il resto".
" Ora capisco che migliaia di miniaturisti, facendo in delicato segreto sempre gli stessi disegni per secoli, avevano disegnato il segreto e delicato trasformarsi del mondo in un altro mondo" ( da Il mio nome è rosso).
La letteratura è un continuo ritorno allo stesso sogno tenero e nostalgico: desiderare essere felici senza trasformare realmente il mondo.
Perché leggerlo ? Chiarisce bene il pensiero di Pamuk