Sconsiglio vivamente
e non lo rileggerei

Io sono un gatto

scritto da Soseki Natsume
  • Pubblicato nel 1905
  • Edito da Neri Pozza Editore
  • 479 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 28 febbraio 2017

Il protagonista e narratore di questo romanzo è un gatto: un randagio, accolto in casa di un professore, non amato ma sopportato per inerzia.
Così si definisce il nostro eroe: "io non ingrasso perché leccornie non ne mangio, ma sono in condizioni passabili e tiro avanti giorno dopo giorno senza zoppicare".
Come tutta la sua specie, la fissità e la pigrizia del nostro gatto nascondono una grande saggezza, una profonda capacità di riflessione su quanto avviene nel mondo degli umani.
Ed per questo che chi leggesse "il libro distrattamente, convinto che si trattasse di unʼopera di poco valore, di colpo capirà di trovarsi davanti a qualcosa di molto diverso, qualcosa che sembra facile ma è profondo come la dottrina di Buddha, e non si permetterà più di leggerlo sdraiato sul tatami con le gambe scomposte, saltando le righe".
Siamo in Giappone allʼinizio del novecento, durante la guerra con la Russia, che si concluderà con la clamorosa vittoria del nascente impero nipponico.
È una lunga fase di transizione, dalla cultura tradizionale e chiusa degli shogun allʼapertura al mondo occidentale, alla sua letteratura e alla sua scienza.
In casa del professore si riuniscono, in chiacchere senza fine e costrutto, diversi intellettuali: lo scettico, arguto e superficiale, il giovane fisico, perso in ricerche scientifiche delle quali non si capisce il senso, il filosofo zen, vagheggiante una spiritualità non più sentita, ed infine il giovane uomo dʼaffari, bramoso di arricchirsi.
Al centro cʼè il professore: misantropo, chiuso come "unʼostrica", egoista, trascorre tutto il suo tempo nello studio, ufficialmente a leggere gli innumerevoli libri che acquista dilapidando il modesto reddito da insegnante "Ma cosa sta facendo, sdraiato bocconi su questa coperta dal lungo passato, il mento appoggiato sulle mani, una sigaretta fra le dita ? Niente, se ne sta lì in ozio.
È possibile che nella sua testa cosparsa di forfora riflessioni sui massimi sistemi si rigirino come una ruota di fuoco, ma a osservarlo da fuori non si direbbe." Eppure, il gatto è immensamente grato al professore, perché gli permette di assistere ad uno spaccato emblematico della società umana; è vero, una riunione di affabulatori, ma che fornisce al nostro eroe "mille esperienze", e a noi lettori pillole di saggezza.
Per esempio, il gatto va a visitare un bagno pubblico, dove gli uomini sembrano tutti uguali nella loro nudità, ed allʼimprovviso emerge un "un gigante.
Il superuomo di Nietzsche.
Il re dei demoni, Il comandante in capo dei bruti.
(...) E strada facendo rifletto.
Fra quegli uomini nudi come vermi, che nello sforzo di diventare tutti uguali si sono tolti braghe, haori e hakama, è emerso un eroe altrettanto nudo che ha imposto agli altri la propria autorità.
Ne deduco che gli esseri umani si possono denudare quanto vogliono, non raggiungeranno mai lʼuguaglianza".
E che dire del narcisismo ? Osservando il professore che si guarda allo specchio e si lamenta della sua faccia, così sgradevole, il gatto riflette che "quando si è scontenti di sé, quando si è in preda allo scoraggiamento, non cʼ è rimedio più efficace che guardarsi allo specchio.
Si ha unʼimmediata e chiara percezione del bello e del brutto.
Ci si meraviglia di aver vissuto fino a quel momento mostrando al mondo una tale faccia.
E questʼ improvvisa consapevolezza è un momento prezioso nella vita di una persona.
Nulla è più utile allʼessere umano che la percezione della propria stupidità".
Tutti sappiamo che i gatti sono molto pazienti; ma ogni cosa ha un limite ! Dinanzi al chiacchiericcio senza senso, dinanzi alla vacuità delle parole, alla povertà dei sentimenti, ad un rumore di fondo nel quale si dissolvono le filosofie tradizionali (il buddismo e il confucianesimo), così come il pensiero occidentale, anche un micio non ne può più; e così si ubriaca e si lascia morire.
"Ora basta, vada come vuole.
Sono stufo di lottare...
(...) A poco a poco mi sento meglio.
(...) Dove sia.
cosa stia facendo, mi è del tutto indifferente.
So solo che mi sento bene.
(...) Spazzo via sole e luna, polverizzo cielo e terra ed entro nel mistero della pace eterna, Sto morendo, E morendo raggiungo la pace.
(...) Rendo grazie.
Rendo grazie".

Ad un certo punto di questo lungo romanzo sorge un dubbio, affascinante ed inquietante ad un tempo: che il gatto e il professore siano le parti di una stessa persona ? Il saggio e lʼottuso ? Il partecipe e l indifferente ? E che questo racconto, scritto poco prima della morte, sia il testamento spirituale di Soseki ? Se così fosse il libro assume una veste estremamente moderna, quasi psicoanalitica, affresco della complessità e dellʼambivalenza dellʼanimo umano, precursore di quei tratti ambigui ed evanescenti che accompagneranno la grande letteratura giapponese.

Il libro è decisamente noioso.
Non esiste una trama; i personaggi sono stereotipi, i dialoghi sono lunghi e sono solo espedienti per meditazioni, le disgressioni del gatto sono più interessanti, ma per essere colte nella loro pienezza richiederebbero una conoscenza approfondita della storia e della cultura giapponese.
Di grande livello è la traduzione, la quale esalta la scrittura, lʼunico lato pregevole del romanzo; le note esplicative sono curate ed esaurienti, contribuiscono ad arricchire la nostra conoscenza della società nipponica e ci invitano a studiarla.

Perché non leggerlo ? È noioso.

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