Il libro ha vinto il premio Strega 2015 ed è stato presentato da molte recensioni come una sorta di Buddenbrook allʼitaliana: ci si aspetterebbe un bel romanzo con un forte connotato sociale.
Niente di tutto questo.
È un pessimo romanzo, scritto male, intimistico - esistenziale, che riflette una percezione della realtà tipica degli anniʼ90.
Annoiato dalla trama, disgustato dello stile narrativo, ho interrotto la lettura a pagina 237 e posso quindi raccontare la trama sino ad un certo punto.
Inizia con il suicidio di Clara, viziata ed eccentrica rampolla di una arrampicatrice famiglia imprenditoriale di Bari: un padre affarista e avido, tipico costruttore edile del Sud; una madre assente, serenamente soddisfatta dellʼagiatezza raggiunta, e tre fratelli; un medico affermato, una ventenne sulla buona strada per diventare altrettanto viziata come la sorella, e Michele, il figlio di unʼamante del padre, morta durante il parto.
Il legame tra Clara e Michele è particolarmente intenso, anche per la fragilità del ragazzo, il quale trova nella sorella, così sicura di sé, un punto di appoggio e forse un oggetto dʼamore.
Il romanzo vuole scavare soprattutto questa relazione e lo fa con continui salti temporali, dal presente (Clara morta) al passato, con la giovane suicida ancora nei panni di una vivace ragazza, dalla sfrenata vita sessuale.
Intorno a Clara e Michele, nelle diverse dimensioni temporali, ruotano gli altri familiari, tutti apparentemente indifferenti alla terribile disgrazia accaduta o ai contenuti sempre più morbosi dei rapporti tra i due giovani.
Forse perché "noi non siamo noi, (...) siamo guidati da forze di cui non siamo consapevoli, agiamo senza sapere perché, diciamo cose il cui movente è ignoto, crimini senza colpa e morti senza causa apparente".
La nostra vita si ripete secondo il ciclo delle stagioni, con una fatalità che noi vorremmo propria della natura, ma è anche nostra.
"Impaurita dalla moto, la lucertola si tuffò nei fili dʼerba.
Scomparve tra i rami lacerando nella fuga la tela del ragno salticida, il quale, ricomposta lʼimmagine del rettile attraverso i suoi otto occhi, era riuscito ad evitare lʼimpatto.
Il ragno zampettò.
Il terreno secco e arido registrò lʼinformazione sovrapponendola allʼalfabeto delle formiche che si incrociavano spezzando e biforcando e poi ricomponendo una linea che non era mai la stessa.
La legge a cui obbedivano si modificava in loro confermandosi nella legge di ogni simile, riceveva nuovi impulsi dalle profondità del formicaio, poi più lontano, dalla tremenda forza che cambia volto alle stagioni".
Non è certo un romanzo sociale né un racconto psicologico, che vuole approfondire i sentimenti e le motivazioni.
Lʼautore si muove su un piano metafisico, nella convinzione, profondamente meridionale, dellʼimmutabilità dellʼessere umano e del contesto sociale e politico.
Da qui forse viene il titolo: la Ferocia.
Si poteva dare comunque un ritmo narrativo ! Una trama comprensibile ! A peggiorare il risultato letterario è lʼimpronta minimalista, che si riflette nellʼesagerato ricorso al punto e alla quasi completa assenza del punto e virgola e dei due punti.
È difficile in questo modo non spezzettare il discorso, rendendolo pesante e incomprensibile.
Un esempio: " Michele tornò in camera sua.
Fece per stendersi a letto.
Si arrestò.
Da destra verso sinistra.
Il comodino.
Lʼarmadio.
Guardò intorno con aria preoccupata.
La finestra mezza aperta.
Il battito cardiaco accelerò.
Rimani calmo.
Non può essere saltata già dalla finestra.
Si sedette sul bordo del letto." E così continuando, adesso si capisce perché non ho più continuato a leggere.
Perché non leggerlo ? È un romanzo brutto, noioso e vecchio.