Gradimento Medio-basso
e non lo rileggerei

La deriva dei continenti

scritto da Banks Russell
  • Pubblicato nel 1985
  • Edito da Einaudi
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 25 ottobre 2016

Questo romanzo è un vortice dʼacqua, che risucchia lʼintero racconto in un unico incomparabile episodio, tragico ed intenso, dopo il quale niente è come prima.
Il problema è che questo mulinello è una "sabbia mobile", così lento e vischioso da sfinire il lettore.
Ma andiamo con ordine.
Bob è un giovane di trentʼanni, padre di due bambini, sposato con una donna che lo ama; ha un posto fisso e unʼamante.
Non cʼè nulla di apparentemente sbagliato nella sua vita, eppure Bob la odia: in parte per il solito sogno americano (la vecchia metafora dellʼAmerica alla quale tutti sembrano crederci), ed in parte perché Bob "ha lasciato nel mondo reale un uomo irreale, inventato, che fa il suo dovere, prudente, responsabile, fedele ed equilibrato, mentre nel mondo invisibile (...) Bob è inconcludente, avventato, irresponsabile, infedele, irrazionale, (...) lʼuomo che è un bambino".
Questo lato invisibile prende il sopravvento e lo spinge ad abbandonare una vita prosaica ma sicura, per cercare qualcosa che lui stesso non sa cosa sia.
Lascia la casa di proprietà e il posto fisso, e trascina la famiglia in Florida a vivere in un caravan, a lavorare prima con il fratello (uno smargiasso truffatore) e poi con un amico (un altro mascalzone).
È una deriva inesorabile: non solo è un fallimento economico, è pure una discesa psicologica e morale.
Bob uccide un uomo, anche se per difendersi, si disinteressa della famiglia, è coinvolto nel suicidio del fratello, fa finta di non accorgersi dei loschi affari dellʼamico, finisce a fare traffico illegale di clandestini.
Accanto al racconto di Bob si sviluppa la storia degli immigrati haitiani, in particolare di una donna con il suo bambino.
È inutile soffermarsi su questo filone narrativo, che avrebbe potuto dare molto se non fosse stato infarcito di riti vudu, del fascino dellʼesoterico, di visioni stucchevoli del "buon selvaggio".
Caro Banks le sofferenze dellʼimmigrazione sono troppo gravi e serie per essere lʼoccasione di artefatti e folcloristici racconti ! I due filoni narrativi (le vicende di Bob e quelle degli haitiani) convergono in un evento drammatico ed ad un tempo emblematico di una condizione universale.
Bob trasporta con la sua barca un gruppo di haitiani, determinati ad arrivare in tutti i modi in America.
Lo fa per soldi, ma il suo atteggiamento è di empatia per questa povera gente: li porta dellʼacqua, offre delle sigarette, sembra volersi far coinvolgere.
Quando però vengono avvistati dalla guardia costiera e dunque cʼè il rischio di essere arrestati, Bob non esita a buttare a mare gli haitiani (uomini, donne e bambini), condannandoli ad una morte certa per annegamento.
"È caduto in un luogo oscuro e freddo, dove le pareti sono perpendicolari e scivolose e tutte le uscite sono state sigillate.
È solo.
(...) Ecco come un uomo perde la sua bontà.
(...) Dalla bocca allʼinguine, Bob percepisce il proprio corpo come una fredda barra dʼacciaio, braccia e gambe si induriscono come ghisa, la testa, occhi bocca naso orecchie, sembra chiudersi al mondo a poco a poco".

Il capitolo "Per mare" narra la terribile vicenda dellʼassassinio dei clandestini, lasciati annegare per un pugno di soldi: è di una potenza evocativa straordinaria, anche alla luce di ciò che avviene giornalmente nel nostro mediterraneo.
Lʼautore mostra una grande abilità stilistica, nella costruzione della trama e nellʼuso delle parole.
Sino allʼultimo il lettore spera che ci sia un diverso finale, nel quale Bob palesi la sua bontà, una effettiva compassione verso gli haitiani, "così fragili, delicati e sensibili".
Ed invece, lui, "un tipo gentile e socievole", commette un delitto orrendo, una strage.
E ci fanno ancora più ribrezzo le sue banali giustificazioni, come "nulla gratis nella terra della libertà", o la sua auto commiserazione: "e infatti eccomi qui.
Peccato che non sono più io".
È facile, tuttavia, scandalizzarci per il comportamento di Bob; in realtà le sue azioni e i suoi pensieri esprimono molto bene la distanza tra ciò che proclamiamo e ciò che facciamo, quellʼipocrita perbenismo, la nostra falsa coscienza.

Ed allora perché rovinare tanta bravura stilistica in banali disgressioni di carattere filosofico e perché tante lungaggini sulla cultura haitiana ? Non era forse meglio focalizzarsi sui personaggi, o lavorare sulle reali condizioni degli immigrati, in viaggio verso il sogno americano ? È un libro rovinato dalla presunzione dellʼautore di essere in grado di trattare troppi temi, invece di concentrarsi su limitate ma efficaci chiavi di lettura.

Perché leggerlo ? Vale la pena leggerlo solo per il capitolo "Per mare".

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