Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

Mastro Don Gesualdo

scritto da Verga Giovanni
  • Pubblicato nel 1888
  • Edito da Garzanti
  • 447 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 17 marzo 2012

Il romanzo è ambientato in Sicilia, nella prima metà dellʼOttocento: una terra ancestrale ed arida, "una landa bruciata dal sole, colline su colline, accavallate, nude, arsicce, sassose, sparse di olivi rari e magri, di fichidindia polverosi".
Mastro Don Gesualdo sin da ragazzo ha lavorato duramente per arricchirsi e " difendere la sua roba contro tutti, per fare il suo interesse, nel paese non un solo che non gli fosse nemico, o alleato pericoloso e temuto".
Dʼaltra parte è un popolano, fuori dal giro dei possidenti locali, è quindi deve "celare sempre la febbre dei guadagni, la botta di una mala notizia, lʼimpeto di una contentezza; e aver sempre la faccia chiusa, lʼocchio vigilante, la bocca seria ! " Ha la possibilità di uscire dallʼemarginazione alla quale lo condanna la nascita contadina: può sposare Bianca, appartenente allʼantica ma decaduta stirpe aristocratica dei Trao.
In un ricevimento offerto da unʼesponente della nobiltà locale, Don Gesualdo ("raso di fresco, vestito di panno fine, con un cappello nuovo fiammante fra le mani mangiate di calcina") fa il suo ingresso fra i pezzi grossi del paese per accorgersi che non sarà il matrimonio a permettergli di abbassare la guardia.
Ed è proprio per vendicarsi dellʼaccoglienza algida e sprezzante del suo matrimonio da parte dei parenti della moglie che Mastro Don Gesualdo rompe tutte le tradizioni locali prendendo in gestione da solo, e ad un canone altissimo, le terre comunali.
La descrizione dellʼasta è una delle pagine migliori del romanzo, con i possidenti che cercano di respingere lʼassalto di Don Gesualdo, poi di fare invalidare lʼasta ed infine di cercare un accordo, facendo pressione anche su Bianca e quindi sui legami di parentela, prima ripudiati.
Ma il nostro protagonista va avanti per la sua strada, fermo nella sua posizione "con il suo risolino sciocco, lʼunico che non perdesse la testa in quella baraonda".
La vittoria, innanzitutto sociale, di Don Gesualdo conclude la prima parte del romanzo, senza dubbio la più riuscita, per il distacco con la quale Verga narra, con dialoghi serrati e rapidi, le dinamiche, di denaro e di relazioni, della piccola aristocrazia locale.
I protagonisti sembrano dei burattini rinchiusi nel proprio ruolo sociale: non cʼè introspezione psicologica ma sono i freddi fatti che parlano da soli.
In seguito, si attua un cambiamento ideologico e stilistico: il romanzo decade in un sentimentalismo zuccheroso assumendo le caratteristiche di un romanzo di appendice.
Bianca si rivela una sposa ubbidiente ma distante, che non dà affetto e confidenza a Don Gesualdo, confermando in tal modo le differenze di origine sociale.
Lʼunica figlia, Isabella, forse frutto di una precedente relazione di Bianca, cresce viziata e sprezzante verso il padre, che considera anche lei un rozzo contadino e di cui non comprende i sacrifici e le fatiche.
Don Gesualdo, ormai vecchio e malato, vede dissipato dalla figlia e dal genero il patrimonio così faticosamente accumulato e muore nellʼindifferenza e nella solitudine.
Eppure, anche nel punto di morte, raccomanda a sua figlia "la sua roba, di proteggerla, di difenderla....
Spiegava quel che gli erano costati i suoi poderi ...
li passava tutti in rassegna amorosamente ....
li descriveva minutamente, zolla per zolla, gli tremava la voce, gli tremavano le mani, gli si accendeva tuttora il sangue in viso, gli spuntavano le lacrime agli occhi".
Solo per scrupolo di coscienza implora la figlia di dare qualche cosa ("farai conto di essere una regalìa") ai figli illegittimi che ha avuto da una serva, lʼunica persona che lo ha veramente amato.

Numerosi critici ritengono che il romanzo sia la "demistificazione dellʼarrampicatore sociale....
implicitamente rivolta a colpire i valori dellʼessenza stessa della società borghese" ( Romano Luperini 1968) e la narrazione "delle lacerazioni indotte nel tessuto di unʼeconomia arcaica e di una società contadina da unʼeconomia e da una società capitalistico - borghesi, rette da un brutale esclusivo codice economico, dalla logica alienante della ricchezza e del possesso" ( Vitilio Masiello 1972).
Questa chiave di lettura è superficiale e riduttiva rispetto alla complessità del pessimismo di Verga.
Se è vero che lo scrittore fa dire al suo personaggio che "ciascuno al mondo cerca il suo interesse, e va per la sua via", è pure vero che lʼaccumulazione della roba è percepita da Don Gesualdo come una missione, di cui può solo lamentarsi ma dalla quale non può sfuggire.
E così gli altri personaggi sono tutti fissati in un destino sociale, che li costringe a vivere in unʼinfelicità esistenziale e talvolta fisica.
Si pensi alla stessa figura di Bianca, ma ce ne sono altre nel romanzo, che deve sposare un uomo che non ama e vive tutta la sua vita debole e malata.
Ed allora, forse, la vera chiave di lettura del romanzo è lʼeffetto sulla personalità umana di una struttura sociale immobile, statica, che non permette né lʼascesa né la fuga.

Uno dei primi commentatori del romanzo notò come Verga non mostri mai "i suoi personaggi nelle ragioni interne dellʼanimo loro: li fa agire, non li mostra in atto di pensare" (Guido Mazzoni 1890).
Questo approccio dellʼautore scivola nella superficialità e nellʼoscurità nella seconda parte del romanzo, quando il ritmo narrativo diviene disteso, fluido ma tradizionale.
Nella prima parte, sino alla magnifica scena dellʼasta per la gestione delle terre comunali, il soverchiare del dialogo sulla narrazione e il ricorso a brevi ritratti sono espedienti letterari estremamente originali per allontanare lo scrittore e fotografare i protagonisti, mettendo in risalto il loro abbandonarsi al ruolo sociale e facendo scomparire il lavorio interno del pensiero: non sono soggetti coscienti ma marionette della società.

Perché leggerlo ? Talvolta è faticoso alla lettura, ma la prima parte del romanzo vale la fatica.

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