Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

L'sola di Arturo

scritto da Morante Elsa
  • Pubblicato nel 1957
  • Edito da Mondadori
  • 385 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 30 dicembre 2023
<<Uno dei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene) che Arturo è una stella: la più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale!>>. Così inizia la lunga ricerca dell'Amore da parte di Arturo Gerace: << un dilemma indecifrabile, senza sollievo di speranza, né di vendetta>>; ricerca che aveva bisogno per svilupparsi di un luogo fatato come Procida: << un paese d'avventure, un giardino beato!>>, ma anche <<una magione stregata e voluttuosa>>. Il romanzo racchiude in sé tre diverse nature, profondamente intrecciate tra loro: la narrativa, la fantastica e l'onirica. Arturo è rimasto orfano dalla nascita ed è stato allattato con latte di capra dal balio Silvestro. Cresce solitario in un Castello in rovina. Il padre è sempre in viaggio e il bambino scorrazza per l'isola e per le marine. Arturo vive libero ma malinconico, é appagato solo quando il padre è a casa. <<La mia infanzia è come un paese felice, del quale lui è l'assoluto regnante! (...Lui che avanzava risoluto, come una vela al vento, con la sua bionda testa forestiera, le labbra gonfie, e gli occhi duri, senza guardare nessuno in faccia. E io gli tenevo dietro, girando fieramente a destra e a sinistra i miei occhi mori, come a dire: "Procidani, passa mio padre!">>. L'innamoramento non è scalfito dai modi bruschi e severi che il padre ha nei confronti di Arturo, né è spezzato dall'arrivo della matrigna, una ragazza poco più vecchia di Arturo (allora quattordicenne), forse sposata per capriccio. Il ragazzo ha nei confronti della matrigna un rapporto che oscilla tra la gelosia e l'attrazione, proprie di un adolescente alle prime esperienze amorose e sempre alla ricerca di una figura materna. Un giorno, il padre torna a Procida insieme a un carcerato, che viene rinchiuso nel penitenziario dell'isola. L'uomo è taciturno, non vuole più passeggiare e andare in barca con il figlio, al contrario, scompare spesso per andare a cantare una serenata d'amore sotto la cella del carcerato. L'infatuazione di Arturo per il padre si dissolve dolorosamente, soprattutto quando lo sente definire una "Parodia" dal malizioso carcerato: una pietosa riproduzione di un uomo di mondo, di un grande viaggiatore, quando << sarà molto, se è arrivato fino a Benevento, o a Roma-Viterbo!>>.  Arturo diviene adulto perché vede il padre nella sua vera natura, egoista e meschina: deve lasciare anche l'isola meravigliosa, troppo intrisa delle scorribande felici e delle attese trepidanti. L'adolescenza è finita, Arturo va alla scoperta del mondo, decide di andare in guerra. Fin qui siamo dinanzi a un romanzo di formazione, talvolta prolisso e banale. A renderlo originale e attraente sono gli aspetti fantastici e onirici della narrazione. Si pensi alla salita verso il Penitenziario, dietro al padre: le vie del borgo antico, le strade strette e arrampicate, le mura a picco sulle alte scogliere dell'isola, facevano apparire la Casa di Pena simile al << Castello dei Cavalieri di Siria; fiabeschi avventurieri (...) affollavano quel palazzo murato>>, e Arturo diveniva << un funereo Cavaliere Errante, (...) e le voci dell'abitato poco lontano (...) mi parevano voci di una stirpe infantile>>. Un episodio centrale del romanzo assume suggestioni fiabesche ed evocative di mondi lontani e favolosi, di storie narrate. Si pensi invece all'immagine della conchiglia, naturalismo sognante di un fenomeno celeste. <<Fuori della finestra di mezzanotte, (...) si scorgeva una minuscola nube che, muovendosi sul turchino del cielo, in pochi istanti prese dapprima la forma di una conchiglia, poi d'una piccola mongolfiera, poi d'un cono gelato, poi d'una barba di vecchio, poi d'una ballerina>>. Realtà, fantasia e sogno si ibridano e i toni narrativi si sfumano; il romanzo assomiglia sempre meno ad un racconto di formazione (una sorta di Isola del Tesoro napoletana, si veda la recensione di Treasury Island in questo sito) e va sempre più invece assumendo le immagini e il ritmo di "Le Mille e una notte" (si veda la recensione in questo sito).

Morante non cerca di dare un'impronta tradizionale al romanzo, come aveva tentato in "Menzogna e Sortilegio" del 1948 (vedi recensione in questo sito), la fantasia vola alta sin dalle prime pagine, da quell'incipit così stellato. Pur all'interno di uno stile meticoloso e apparentemente naturalistico, la narrazione è talmente onirica e fiabesca che fa sospettare un viaggio all'interno della coscienza. Già ne è una spia la scelta di Arturo come narratore, e quindi il punto di vista dell'io; poi il susseguirsi disordinato e invadente delle immagini, quasi frutto di sogni e visioni; infine i personaggi, che paiono stereotipi delle diverse parti della coscienza: la matrigna, figura animalesca ostinatamente fedele, il padre, caparbiamente egoista e ostile,  il balio Silvestro a impersonare la figura della Madre e che torna a salvarlo, la malizia cattiva del carcerato, distruttore dell'Amore Assoluto. E' come se il protagonista (la Morante?) fosse in bilico, dinanzi a differenti direzioni da prendere, e infine sceglie il distacco: separazione  anche dal luogo vagheggiato, dove si è nati e cresciuti.

La narrazione procede con lentezza, attenta com'è a scandagliare l'animo del protagonista narratore dinanzi alle diverse situazioni che via via gli si pongono dinanzi. E' un continuo scavare, con descrizioni dettagliate, che sarebbero noiose se non fossero sorrette da una scrittura grammaticalmente raffinata, da un lessico vaporoso ed elegante, da una prevalente atmosfera di piacevolezza. 

Perché leggerlo? Affascinante, anche se a tratti prolisso.


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