Gradimento Medio
e non lo rileggerei

La Storia

scritto da Morante Elsa
  • Pubblicato nel 1974
  • Edito da Einaudi
  • 656 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 marzo 2020
"Non c'è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte" (un sopravvissuto di Hiroshima). Elsa Morante pone questa citazione come premessa al romanzo, ad indicare come  il suo fine sia narrare le vittime in un periodo drammatico e doloroso della nostra storia recente: gli anni tra il 1941 e il 1947. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare di trovarsi dinanzi ad una versione moderna del romanzo di Riccardo Bacchelli (Il Mulino del Po recensito in questo sito), con il quale il grande scrittore bolognese intendeva narrare la storia post unitaria dal punto di vista degli umili. E come potrebbe essere se l'autrice è la stessa di Menzogna e Sortilegio (vedi recensione in questo sito)? Come potremmo pensare di essere dinanzi ad un romanzo storico, battagliero, pungente, ideologico, quando il mondo narrativo di Elsa Morante è onirico e introspettivo?  Ida, vedova Mancuso, vive a Roma: di professione maestra, di età trentasette, con un figlio irrequieto e simpatico, di nome Nino, ha un "corpo denutrito, e informe nella struttura, dal petto sfiorito e dalla parte inferiore malamente ingrossata, la faccia di una bambina sciupatella. (...) Nei suoi grandi occhi a mandorla scuri c'era una dolcezza passiva, di una barbarie profondissima e incurabile, che somigliava a una precognizione. (...) La stranezza di quegli occhi ricordava l'idiozia misteriosa degli animali, i quali non con la mente, ma con un senso dei loro corpi vulnerabili, sanno il passato e il futuro del loro destino. Chiameremo quel senso (...)  il senso del sacro (...)  il potere universale che può mangiarli e annientarli, per la loro colpa di essere nati". Mentre rientra a casa viene violentata da un soldato tedesco, che la mette incinta e nasce Giuseppe, detto Useppe. Nino è sempre in giro, sola con il piccolo Useppe Ida subisce i bombardamenti e la distruzione della sua casa, lo sfollamento a Pietralata in un grande stanzone senza intimità, la dura occupazione tedesca, la deportazione degli ebrei, e, indirettamente tramite Nino, la lotta partigiana; poi si raccoglie in qualche modo in una piccola  stanza in affitto, sempre sola con Useppe, e convive con una famiglia in vana attesa del figlio disperso in Russia.  Infine raggiunge una decorosa sicurezza che sembra avviarla ad una vita serena. Tutti questi tragici avvenimenti  attraversano la vita di Ida ed Useppe come una fiaba; in essa il bambino pare un gnomo allegro ma saggio: "si sarebbe detto, invero, alle sue risa, al continuo illuminarsi della sua faccetta, che lui non vedeva le cose ristrette dentro i loro aspetti usuali; ma quali immagini multiple di altre cose varianti all'infinito". E' come se il canto di due uccelletti di bosco, le cui parole erano chiarissime agli orecchi di Useppe, esprimesse nel loro ripetitivo ritornello il senso indecifrabile di quanto stava accadendo: "è uno scherzo, uno scherzo, tutto uno scherzo!". Se non fosse che il romanzo di Anna Maria Ortese "Il Cardillo addolorato" è del 1993, e quindi Elsa Morante non può essersi ispirata alla misteriosa canzoncina (" e vola vola vola lu Cardilo...., si veda la recensione in questo sito), comunque traspare lo stesso mondo sotterraneo, il magma che ribolle al di sotto della razionalità ordinatrice. Ida, Nino ed Useppe sembrano sopravvivere così come i loro due cani, Blitz e Bella, inconsapevoli vittime; ed invece i sogni manifestano sin dall'inizio le angosce che provengono dall'inconscio, sommerso dalla paura e dal dolore, ai quali non si riesce a dare un senso né si può semplicemente assistere a tanta crudeltà. Ida "cammina con suo padre, che la ripara sotto il proprio mantello; quand'ecco il mantello se ne vola via come da solo, senza suo padre. E lei si trova bambina piccola sola per certi sentieri di montagna, perdendo rivoletti di sangue dalla vagina. (...) Invece di scappare s'è fermata sul sentiero a giocare con una capretta.... Ma non s'accorge che la capretta urla, ha le doglie, sta per partorire! E frattanto là, già pronto, c'é un furiere delle macellerie elettriche....(...) Useppe, nel sogno, non si trovava a riva, ma nell'acqua del fiume-lago. E quest'acqua, sebbene chiusa in cerchio dalle colline, appariva di una grandezza infinita. (...) Useppe nuotava in quest'acqua naturalmente, come un pesciolino; e intorno a lui per tutto il tiepido lago emergevano innumeri testoline di altri nuotatori compagni a lui. (...) Ma la cosa più straordinaria di questo lago festantissimo era che il cerchio delle colline, massacrato dalla tetra bufera, là dentro si rispecchiava, invece, intatto e beato, nella piena serenità di un'estate al suo principio".  Come raggiungere la pace, come liberarsi dal dolore ? Non restano che la morte o la follia.

Il lettore si allontana dal libro con un immagine di grande suggestione. Useppe si è sentito male, ha avuto un attacco epilettico, Bella corre verso casa a chiamare Ida, e lei si sveglia da un sogno ("e allora il pischello e lei, contenti, salgono insieme sulla nave"), viene presa da un "panico incoerente" e corre a salvare il figlio. "Camminavano in tre, stretti uno all'altro: Useppe accomodato su Bella come su un cavalluccio, e appoggiato con la testa al fianco di Ida, che lo cingeva col braccio per sostenerlo". Quanta soffusa e malinconica dolcezza! Stretti tra loro, nell'unica solidarietà che conoscono, i tre sperano di salvarsi! Disse Elsa Morante in un'intervista del 1959, "il romanziere (...) presenta, nella sua opera, un proprio, e completo, sistema del mondo e delle relazioni umane. Solo che, invece di esporre il proprio sistema in termini di ragionamento, è tratto, per sua natura, a configurarlo in una finzione poetica, per mezzo di simboli narrativi"(citato da Cesare Garboli nell'introduzione).  Con il fine di parlare delle vittime la scrittrice cerca di attenersi a questo canone, dà al suo romanzo un'impronta ottocentesca, con una descrizione minuziosa delle storie, dei luoghi, dei dettagli, nello sforzo di legittimare l'immaginario e di dargli coerenza. Scivola in una lunga e ridondante scena alla Dostoevskij, quasi una replica del capitolo del Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov (si veda recensione in questo sito). Però, Il mondo onirico è incontenibile, l'inconscio prorompe e disintegra l'ordine complessivo del romanzo: ne esce uno zibaldone, dove si mescola la Storia con le storie in un miscuglio esagerato e prolisso; Useppe dà un moto cavalleresco alla narrazione che ci potrebbe salvare, ma non è sufficiente.

Perché leggerlo? Di sicuro un grande romanzo ma non certo all'altezza di Menzogna e Sortilegio.

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