Non è stato facile recensire questo romanzo: i filoni narrativi sono numerosi, ricchi di riferimenti letterari, politici, filosofici, e per di più si susseguono sovrapponendosi così da creare un groviglio spesso indecifrabile, al quale è impegnativo dare un senso complessivo. E' più facile dire cosa non è il libro: l'oggetto non è la guerra del Vietnam, come hanno detto superficialmente numerosi critici (per questo bisogna leggere Matterhorn di Karl Marlantes, recensito in questo sito); l'autore non parla, o non lo fa prevalentemente, della condizione di chi fa parte di diverse storie e culture, in questo caso l'americana e la vietnamita (si legga "The Namesake" di Jumpa Lahiri, sempre in rikipedia), né, infine, il racconto è una critica politica alle tre nazioni coinvolte: gli Stati Uniti (il vinto mediaticamente vincitore), il Vietnam del Sud (la vittima) e quello del Nord, il vincitore permeato da una crudele ideologia totalitaria. Al fine di costruire un quadro unitario partiamo dalla trama. Il protagonista, e narratore, è nato da una relazione tra un prete francese e una donna vietnamita, "e stranieri e conoscenti si divertivano a ricordarmelo sin dall' infanzia, sputandomi addosso e chiamandomi bastardo, anche se talvolta, per cambiare, prima mi chiamavano bastardo e poi mi sputavano.(...) Forse non sorprendentemente io sono un uomo con due coscienze. Non sono un qualche incompreso mutante da albo a fumetti o da film dell'orrore, benché alcuni mi trattarono così. Sono semplicemente capace di vedere qualsiasi questione da entrambi i punti di vista". Questa qualità la possiamo chiamare simpatia, e si traduce in una incoerente disposizione d'animo: malinconica nostalgia per la Saigon francese, destinata a scomparire, con la sua corruzione, i mendicanti per strada, i locali notturni, le splendide ragazze disponibili, tanto da far dire all'autore che "noi non eravamo un popolo in guerra elettrizzato da marce militaresche. No, combattemmo ai ritmi di canzoni d'amore, come se fossimo gli italiani d'Asia"; riottosa ma arrendevole appartenenza ad un paese che "insisteva per la prima volta nella storia su un misterioso acronimo, USA, (...) che aveva estratto così tanti prefissi con "super" dalla banca federale del suo narcisismo, (...) che non sarebbe stata soddisfatta finché non avesse bloccato ogni nazione del mondo con una presa di lotta e costretta a gridare Zio Sam"; legame ideologico con il sogno di una rivoluzione socialista che libererà, finalmente, il Vietnam dalle potenze colonizzatrici: essere un' "avanguardia che accelera i tempi verso la rivolta, regola l'orologio della storia e fa suonare la sveglia della rivoluzione". Perché scegliere fra queste differenti anime? Ed infatti il protagonista fa la spia per i Vietcong, facendo parte di una misteriosa cellula che risponde ad un altrettanto oscuro comitato, nel contempo è assistente, ed amico, di un generale del Vietnam del Sud, nazionalista, razzista e classista, ed è infine permeato di cultura americana, dall'abuso degli alcolici alla dizione perfetta della lingua. Per essere un uomo dalla duplice personalità deve costruirsi una maschera, "ma la maggior parte degli attori spendevano più tempo senza la maschera, mentre nel mio caso era il contrario. Nessuna sorpresa, allora, che talvolta sognavo di provare di togliere la maschera dalla faccia, soltanto per realizzare che la maschera era la mia faccia." Essere spia e confidente insieme è una trappola, che costringe il protagonista a compiere azioni, persino a pensare contro i propri valori: deve compiacere il generale e i suoi amici ("niente poteva farmi più felice, dissi, anche se ero, per ragioni che non potevo dire con questa gente, totalmente infelice"), deve aiutare a farli fuggire in America, deve partecipare ad un disgustoso film di propaganda sui buoni americani e i cattivi Vietcong, deve uccidere dei presunti traditori su ordine del generale, deve collaborare ai progetti cospirativi della destra americana e dei profughi vietnamiti. Come rompere la maschera? "Che sarebbe accaduto se uno si togliesse la maschera e l'altro lo vedesse non con amore, ma con orrore, disgusto e rabbia?" Il nostro protagonista continuerebbe probabilmente nell'ambiguità per tutta la vita se non accadesse una svolta traumatica. Mandato per ordine del generale nel Laos a combattere i Vietcong, viene catturato da quelli che dovrebbero essere i suoi compagni, lasciato marcire in un campo di rieducazione per un anno a scrivere la propria confessione, ed infine sottoposto ad un interrogatorio, una vera e propria tortura: legato, imbavagliato, senza poter dormire, accecato dalla luce tutto il giorno. Chi lo interroga è proprio l'amico che lo ha introdotto da giovane alla dottrina rivoluzionaria e poi è diventato il suo capo cellula. E' privo di faccia, distrutta da un bombardamento al napalm, e così un uomo con due facce viene torturato da un "viso di orrida asimmetria". Il protagonista deve svelare ciò che non ha voluto ammettere nella sua confessione: non c'è Niente, siamo intrappolati nel presente e nel passato, qui e là, esiliati e soli in un mondo frammentario e indifferente, "dove niente è stato qualcosa ora esisteva, specificatamente noi, (...) noi confessiamo di essere certi di una e soltanto una cosa, noi giuriamo di mantenere, pena la morte, quest'unica promessa: noi vogliamo vivere". Come il protagonista del romanzo di Ralph Ellison ("Invisible Man" recensito in questo sito) anche il nostro riconosce che era stato "semplicemente un materiale, una naturale risorsa da usare", e quindi "non assegno più un ruolo a me stesso, (...) il mondo è diventato uno delle infinite possibilità".
Un romanzo complesso, si diceva. Esso è sorretto da una scrittura raffinata, da grande scrittore: costruzioni sintattiche articolate, con frequenti cambi di soggetto e numerosi incisi, e tuttavia il periodo scorre agevole, arioso e intrigante; l'uso di parole e modi dire appartenenti ad un americano classico, che riesce ad essere aderente alla lingua parlata senza scivolare nella banalità; cambi di registro narrativi, alcuni propri del romanzo di spionaggio (si pensi alla fuga da Saigon), altri tipici di racconto imperniato sulle relazioni sociali, all' Andre Dubus (si veda "Separate Flights and other stories" recensito in questo sito), ed altri ancora di intensa impronta lirica. Consiglio caldamente di leggere il capitolo 14 ed in particolare la descrizione del canto di Lana, grande capolavoro stilistico. Per uscire dall'intellettualismo dilagante ed andare verso sentimenti sinceri è bene leggere le parti relative all'infanzia e al legame con la madre (capitoli 9 e 11 ma il tema riaffiora continuamente).
Perché leggerlo ? Un profondo e raffinato romanzo.