Gradimento Medio
e non lo rileggerei

Le veglie alla fattoria di Dikanka

scritto da Gogol Nikolaj
  • Pubblicato nel 1832
  • Edito da Einaudi
  • 262 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 maggio 2025
<<Come è inebriante e magnifica una giornata d'estate nella Piccola Russia! (...) Le querce altissime stanno immobili con aria pigra e spensierata, come individui a spasso senza scopo. (...) Gli orti variopinti sono ingemmati dallo smeraldo, dal topazio e dallo zaffiro degli insetti nell'aria, e ombreggiati dagli slanciati girasoli. (...) Stupendo è il Dnepr quando è bel tempo: esso scorre libero e maestoso, gonfio di acque, fra boschi e alture, senza un fruscìo né un mormorìo>> In questo ambiente radioso, così amato da Gogol, giace un piccolo villaggio, Dikanka, felice nel ciclo eterno delle stagioni, una povera e serena vita contadina. Nei freddi e lunghi inverni sono le narrazioni dei vecchi, i balli e le feste con le belle ragazze, le baldorie dei cosacchi a far trascorre il tempo in allegria, "un'allegria disinvolta, senza smancerie e affettazioni", come scrisse Puskin (si veda la citazione nella prefazione di Vittorio Strada). Eppure, i paesaggi così ricchi di sentimento, il brio e la magia delle piccole storie sono pervase da una soffusa tristezza per la scomparsa della società cosacca. Siamo nella seconda metà del Settecento, al tempo di Caterina La Grande (imperatrice di Russia dal 1762 al 1796), quando l'indipendenza dei fieri cosacchi fu sottomessa all'autorità di Mosca.  Non c'è il disperato grido di dolore di Taras Bul'ba, dinanzi alla sconfitta e al tradimento del figlio (si veda la recensione in questo sito), qui la distruzione che incombe è rappresentata dai "demoni e dalle streghe", figure tradizionali dell'immaginario contadino, usate da Gogol per dare un senso tenebroso al destino. Nel racconto "La tremenda vendetta", uno stregone usa tutta la sua potenza diabolica per portare morte e sangue tra la gente cosacca, uccidendo il nobile atamano e la stessa figlia Caterina; e richiamando l'Apocalisse di Giovanni <<un inaudito prodigio s'era verificato presso Kiev (...): l'orizzonte s'era improvvidamente tanto allargato, che si vedevano gli estremi limiti del mondo. (...) Le nubi si sollevarono dalla montagna più alta, e in vetta a questa apparve un individuo a cavallo in completo assetto di cavaliere, (...) pauroso e immenso, (...) lanciò lo stregone nell'abisso>>, e tutti i morti <<gli si scagliarono addosso e l'afferrarono, addentandolo>>. Cosa ci sia di allegria in questa profezia angosciante sarebbe bello chiederlo a Puskin, se si potesse. Non tutti i racconti hanno questa impronta apocalittica, difficile da interpretare. In tutte le novelle, però, le piccole storie della gente di Dikanka mescolano due piani dell'esistenza: quella degli esseri umani, fatta di debolezze, sotterfugi, intrallazzi, e avidità, e quella dei diavoli, che operano per sconvolgere e dirigere la vita degli uomini. Fingendosi un apicoltore narratore, lo scrittore vuole raccogliere le chiacchiere che si fanno intorno ai focolari, nelle lunghe notti d'inverno, quando si è stanchi della musica, delle canzoni e delle baldorie, quasi che fosse un semplice trascrittore di narrazioni orali; e forse quindi, sono io che mi sono ficcato in testa chi sa quali fantasie di mortifere profezie!

Nel romanzo del 1842 "Le Anime Morte" (si veda la recensione in questo sito) Gogol dice che vuole narrare <<l'irritante sedimento delle piccole cose, che impastano la nostra vita >>; se lì l'ambiente è la società di provincia, qui è invece l'umile gente, come in "Terra" di Emile Zola e in "I Malavoglia" di Giovanni Verga (si vedano le recensioni in  questo sito). Particolarmente riuscito è il racconto centrale della raccolta, per l'articolazione dei personaggi e della trama: "La notte prima di Natale". Si prenda, per esempio, la scena in cui i notabili del villaggio vengono nascosti in sacchi per non essere sorpresi presso la loro amante: pare di trovarsi in una rappresentazione della Commedia dell'Arte o in un'opera di Moliere. Oppure, sempre in questo racconto, l'incontro dei capi cosacchi con l'imperatrice Caterina, in presenza del famoso principe amante, il fondatore della Piccola Russia e del porto di Odessa (che sia lui lo stregone?). Con fine ironia, e senza esporsi politicamente, Gogol descrive la sottomissione dei capi cosacchi; tanto più sottolineata dalla furbizia dell'umile fabbro del villaggio, che riesce a farsi regalare dalla zarina un paio di scarpette, che aveva promesso alla ragazza, di cui era innamorato. Solo per questo racconto vale la pena leggere il libro.

Perché leggerlo? E' dolce perdersi in un mondo magico e ancestrale.






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