Gradimento Medio-basso
e non lo rileggerei

Memorie di una principessa etiope

scritto da Nasibù Martha
  • Pubblicato nel 2005
  • Edito da Neri Pozza Editore
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 20 maggio 2020
"Quando avevo quattro anni, nella casa di mio padre, la vita aveva il sapore della vera felicità e davanti a me e ai miei fratelli si apriva un'esistenza fiabesca". Ricordi, nostalgia e senso del proprio rango sono i tratti distintivi di questo romanzo autobiografico, ambientato in Etiopia e in Italia negli anni tra il 1925 e il 1946. L'autrice è la figlia del degiac Nasibù Zamanuel, importante esponente dell'aristocrazia feudale, eroe della resistenza contro l'Italia e ucciso avvelenato dall'iprite, della quale fece largo uso l'esercito italiano nell'invasione del 1935.  A scrivere il romanzo Martha fu spinta "da un senso del dovere": far conoscere gli avvenimenti che sconvolsero la sua famiglia e  trasmettere la "stupefacente atmosfera che scaturisce dal mio Paese, richiamandone i colori, i sapori e le usanze e la vitalità di un popolo raffinato, generoso e profondamente rispettoso dei dettami dei valori cristiani sui quali ha fondato la sua esistenza stessa" (presentazione del libro Roma 17 luglio 2006). Il libro si divide in due parti. La prima narra l'infanzia dell'autrice tramite le storie della madre e gli occhi meravigliati di una bambina. Emerge un mondo abbagliante, sontuoso, magico, lontano dal nostro tempo e dalla realtà stessa dell'Etiopia. Sono quadri di vita che hanno al centro la figura del padre. In un grande raduno mondano dell'aristocrazia feudale, alla presenza dell'imperatore, il degiac Nasibù si presenta "avvolto in un vaporoso sciamma con alti bordi di seta rossi, le larghe spalle dalla cappa di velluto blu arricchita da guarnizioni dorate, (...) in sella del suo magnifico cavallo bianco bardato di ricchi finimenti luccicanti di fregi dorati. (...) Nella nuvola di polvere sollevata dalla corsa tumultuosa lo affiancò una ragazza che cavalcava all'amazzone". E' la futura madre di Martha, figlia di un principe russo, e l'amore pare scaturire dallo splendore dei due principi e dell'alta società etiope. E' inutile farsi domande inopportune, come indagare quale sfruttamento bestiale ci fosse dietro a tanta magnificenza; anche noi, come Martha, siamo catturati da "lontanissimi ricordi" ,quando ci si sente protetti dall'amore dei genitori e i giochi si possono protrarre senza fine e "nessuno avrebbe mai previsto che qualcosa potesse disturbare il corso della nostra vita". Il 3 ottobre del 1935 l'Italia invase l'Etiopia con un esercito di 350.000 uomini, bene armato e sostenuto dall'aviazione. Dopo una gloriosa ma vana resistenza, sfiancata dall'irrorazione di gas nervino, l'Etiopia si arrese. Si dissolve la magia. "La memoria, come cancellata, non mi aiuta a far emergere neppure il più debole ricordo di quei momenti. Di ciò che seguì non mi è rimasto altro che una sensazione di stordimento". Augusto Graziani, nominato viceré dell'Etiopia, accondiscende a salvare l'odiata famiglia del degiac Nasibù, ma la esilia in Italia. Siamo alla seconda parte del libro. Il racconto perde i connotati di fiaba per divenire la dolorosa cronaca di una peregrinazione: dopo un soggiorno a Napoli vengono inviati a Tripoli, poi in un'oasi nel deserto libico, dove, forse, Graziani spera che muoiano di fame e malattia. Riportati a Tripoli vengono mandati a Rodi, successivamente in val di Fassa e quindi a Firenze, dove vivono sino alla liberazione della città, in mezzo a traversie, bombardamenti e stretta sorveglianza della polizia. Ci aspetteremmo un odio verso gli italiani; nient'affatto, non solo il popolo italiano ma gli stessi fascisti, i federali e i funzionari, sembrano mostrare una singolare tolleranza verso la famiglia di Nasibù: insomma, "italiani brava gente!". Non riusciamo a capire se sia l'occhio ottimista della Martha adolescente a vivere gli avvenimenti sotto una luce positiva, o invece  l'atteggiamento di benevolenza fosse reale, forse dovuto al rango principesco della famiglia. Poco importa: ciò che manca è  il vissuto di Martha, la quale diviene adolescente durante l'esilio; ci sono episodi gustosi (come lo sfollamento a San Giustino e la comunella con i bambini del piccolo borgo), immagini pittoriche della natura, dense di colori, tramite le quali capiamo come la giovane Martha sia stata catturata dalle bellezze dell'Italia. Il nostro Paese deve aver lasciato il segno nella maturazione della giovane principessa, se ella, tornata in Etiopia, ripartirà per un nuovo esilio, perché il paese natale, tanto amato, le sta stretto in fondo.  D'altra parte "la vita è una storia": ricordiamo solo quello che contribuisce alla rappresentazione di noi stessi.

Estraniamoci  un momento dall'Etiopia, dai crimini del colonialismo italiano, giustamente ricordati da Angelo Dal Boca nella sua appassionata prefazione al libro: soffermiamoci invece sul tema del ricordo. Salvatore Satta in un romanzo purtroppo dimenticato (Il Giorno del Giudizio", recensito in questo sito) avvicinandosi alla morte, ripercorre la Nuoro della sua adolescenza con una serie di ritratti, e "volti remoti ricompaiono (...) e forse mentre penso alla loro vita, perché scrivo la loro vita,  mi sentono come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno del giudizio, per liberarli in eterno della loro memoria". Ben diverso è il libro di ricordi di Martha: pur fra tante calamità, del paese e della famiglia, i personaggi e le vicende ritornano in superficie come se illuminate da un luminoso cielo sereno, sotto un firmamento di stelle, tra vivaci colori azzurro-vivo. "Quant'è bello questo mondo, mamma, (...) Mi sembra un paradiso!." Esclama la Martha bambina alla vista di Napoli dal mare.

Dispiace veramente che il racconto non abbia conservato nella seconda parte la vivezza e la magia della prima. La caduta di tensione, non essere stato in grado, o non aver voluto, evolvere la narrazione verso una romanzo di formazione e, perché no?, di riflessione sociale e politica, sono tutti fattori che pregiudicano la qualità complessiva del racconto, lo rendono alla fine prolisso, banale e noioso.

Perché leggerlo ? La prima parte è uno splendido affresco della società etiope, una carrellata fantastica di ricordi.

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