Per noi che abbiamo sognato le battaglie e gli eroi dell'Iliade, Taras Bul'ba di Gogol ci ricorda il grande poema omerico (vedi recensione in questo sito). C'è un popolo guerriero, il cosacco, che sorse dall'"antico pacifico spirito slavo" come una "vampata di fuoco", <<una straordinaria manifestazione della forza russa, che l'acciarino delle sventure fece sprizzare dal seno della nazione. In luogo degli antichi principati, delle minuscole città, piene di allevatori di cani e di cacciatori, in luogo dei piccoli signori che con quelle città guerreggiavano e commerciavano, sorsero stanziamenti temibili, unità militari, campi trincerati, legati al comune vincolo del pericolo e dell' odio per i predatori miscredenti>>, l'ottomano così come il polacco cattolico. C'è poi una città, che, come Troia, resiste all'assedio dei cosacchi, e c'è Agamennone con Achille ed Ettore: è Taras e i suoi figli, Ostap e Andrij. Con pennellate superbe Gogol ne tratta i caratteri. <<Taras era uno dei vecchi colonnelli autentici. (...) Egli amava la semplice vita cosacca. (...) Perpetuamente inquieto, si considerava legittimo difensore dell'ortodossia. (...) Otsap era considerato uno dei migliori compagni. (...) Era duro a cedere a stimoli che non fossero quelli della lotta o di una allegra sfrenata bevuta. (...) Anche Andrij ardeva della sete di distinguersi in imprese di guerra, ma l'animo suo era accessibile ad altri sentimenti. (...) L'immagine della donna cominciò sempre più spesso a sorgere nella sua immaginazione ardente>>, tanto più dopo che a Kiev aveva conosciuto una giovane aristocratica polacca. Sullo sfondo non ci sono solo accampamenti militari, bevute collettive, saccheggi e combattimenti, Gogol canta anche la pianura ucraina, la cui natura <<non aveva bellezza che si potesse eguagliare; tutta la superficie della terra appariva come un oceano verde-dorato, su cui fossero zampillati milioni di fiori variopinti. (...) Immobili, levati in cielo, si libravano gli sparvieri ad ali spiegate e gli occhi fissi sull'erba. Il grido di uno stormo di oche selvatiche in moto riecheggiava da chissà mai quale lago remoto>>. In un'atmosfera epica e lirica insieme, si sviluppano le tragiche vicende di Taras e dei suoi figli, una sorte di metafora del destino dei cosacchi, che scompariranno dalla storia sotto il dominio zarista. Invaghito della bella polacca, Andrji tradisce i compagni ma Taras non è Priamo. <<Tradire così? Tradire la fede? Tradire i compagni?>> urla Taras incontrando Andrji, <<stai lì fermo e non ti muovere! Io ti ho generato e io ti ucciderò!>>. Sovrastati dall'esercito polacco, i cosacchi soccombono, Ostap è mandato al patibolo. Dinanzi alla morte il giovane esclama, quasi a cercare un ultimo aiuto dal padre. <<Babbo, dove sei? Senti tutto questo?, Lo sento, si udì nel silenzio generale e nello stesso istante migliaia di uomini rabbrividirono>>. La voce di Taras si perde nel nulla, nella morte, mentre il grande fiume scorre tra molte insenature e banchi di sabbia, <<vi echeggia lo stridore sonoro del cigno, e la fiera anitra selvatica lo percorre veloce>>.
Chi ha letto la recensione sino a questo punto si chiederà di cosa stiamo parlando: chi erano questi cosacchi? Chi è interessato a saperlo, può fare una ricerca sulla rete; qui è sufficiente dire che parliamo di una storia lontana nel tempo e nello spazio, quasi una leggenda. Gli avvenimenti raccontati da Gogol riguardano l'Ucraina e il Seicento; ma Taras Bul'ba parla anche di oggi. Gogol è il cantore di un popolo che vuole essere disperatamente libero, divenendo in tal modo l'araldo di tutte le genti che combattono per la propria terra e il proprio destino. Leggiamo le sue parole, squillanti di dolore sociale, allora come oggi, sotto tante violenze e oppressioni. <<Ci sarà, ci sarà un suonatore di bandura dalla barba canuta sparsa sul petto; sarà forse ancora virilmente umano, vecchio soltanto per la testa canuta. (...) Così si diffonderà alta per tutta la terra la loro fama e quanti nasceranno poi alla luce del mondo, tutti parleranno di loro, poiché la voce possente del cantore giunge lontano, (...) chiamando, senza distinzione, tutti gli uomini alla santa preghiera>>.
Gogol è conosciuto per un romanzo incompiuto, "Le Anime Morte" (si veda recensione in questo sito), in cui in tono comico grottesco e con notevole finezza psicologica l'autore descrive la provincia russa, una sorta di reportage senza meta, senza intenzioni morali, senzʼaltro
interesse che quello di rappresentare nella sua immediatezza lo scorrere
della vita. E' notevole la differenza di stili e di motivi rispetto a Taras Bul'ba, i cui personaggi fanno parte di una storia corale, quasi prigionieri del loro tragico destino, mentre sono un popolo e una terra al centro della scrittura; scrittura che pare riflettere echi di grandi poemi, come la stessa Commedia di Dante; per esempio in similitudini con cui Gogol si serve di episodi della vita quotidiana per descrivere la morte in battaglia. Un cosacco è trafitto mortalmente da una lancia, <<a flotti sgorgò il suo giovane sangue, come vino generoso che in un recipiente di vetro servi malaccorti abbiano portato dalla cantina; (...) il padrone, accorso al rumore, si mette le mani nei capelli; aveva conservato quel vino per un buon momento della sua vita, (...) per poter ricordare (...) il passato, un altro tempo quando, in modo diverso e migliore, si divertivano gli uomini>>.
Perché leggerlo? Libro potente, canto della libertà.