Gradimento Medio-alto
ma non lo rileggerei

Age of iron

scritto da Coetzee J.M.
  • Pubblicato nel 1990
  • Edito da Penguin Books
  • 198 pagine
  • Letto in Inglese
  • Finito di leggere il 22 gennaio 2011

Il romanzo è ambientato in Sud Africa a metà degli anniʼ 80, nei tempi dellʼapartheid.
Una anziana insegnante di materie classiche viene a sapere di avere un tumore incurabile.
Decide allora di raccontare gli ultimi giorni della vita alla figlia, che ha lasciato il paese da molti anni: " ti racconto la storia non perché tu abbia compassione per me ma perché tu possa apprendere come sono le cose.
Sarebbe più facile, lo so, che la storia venisse da qualcunʼaltro, se fosse una voce di un estraneo a risuonare nelle tue orecchie.
Ma il fatto è, non cʼè nessunʼaltro.
Io sono sola, la sola a scrivere.
Non passarci sopra, non perdonare facilmente.
Leggi tutto con un occhio distante".
In questa dichiarazione della protagonista si racchiudono i molteplici significati del romanzo: gli avvenimenti, e soprattutto le compagnie, degli ultimi giorni di vita della vecchia signora, la solitudine e la nostalgia del passato, lʼesilio dalla figlia.
Un vagabondo alcolizzato e un cane randagio trovano riparo presso la dimora della protagonista, che dapprima diffidente ma poi sempre più fiduciosa li accoglie trovando sostegno e amicizia.
Nel frattempo le vicende di due ragazzi di colore coinvolgono lʼanziana insegnante nelle pesanti condizioni di vita della popolazione negra e soprattutto nella crudele repressione della polizia afrikaner.
Sconvolta dai fatti che travolgono una vita sino allora tranquilla, la lettera alla figlia cambia di senso: doveva essere un modo per rafforzare il legame e invece la donna si trova trascinata nella confusione e nellʼincertezza: lʼamore verso la figlia diviene più astratto e lontano mentre sono sempre più forti i sentimenti verso chi le è più vicino nel male e dinanzi alla morte: il vagabondo, il cane e i due ragazzi di colore.
E una richiesta di amore si eleva dalla vecchia insegnante: " e questa lunga lettera, lo dico adesso, è una richiesta verso il tramonto, verso lʼoccidente ( la figlia vive negli Stati Uniti) per te di ritornare da me.
Vieni e nascondi la testa sul mio grembo come fa un bambino, come tu eri solito fare.
Non posso vivere senza un bambino, non posso morire senza un bambino.
Ciò che io sopporto, in tua assenza, è pena.
Io produco dolore.
Tu sei il mio dolore.
È questa una accusa.
Si io ti accuso.
Ti accuso di avermi abbandonato".

È un romanzo potente ed ancestrale, dominato da temi classici, tipici della tragedia greca, di quella di Eschilo e di Sofocle.
Il rapporto tra madre e figlio viene investigato non in termini psicologici ma rimandandolo ad un destino ineluttabile, del distacco della progenie dai genitori.
La fuga della figlia dal Sud Africa genera lʼesilio della madre, la sua solitudine ed insieme la consapevolezza che non sarà ricordata dopo la morte " lasciami andare da me stessa, lasciami andare via da te, lasciare andare via da una casa ancora viva di ricordi: è un compito difficile, ma sto imparando"." Non avere paura, dice la protagonista,non ti cercherò.
Non è la mia anima che resterà con te ma lo spirito della mia anima, il respiro, il movimento dellʼaria intorno a queste parole, lʼesilissima turbolenza tracciata nellʼaria dal passaggio extra terreno della mia penna sopra la pagina che le tue dita adesso tengono".

Perché leggerlo ? Non è facile la lettura, anche perché lʼautore apre spesso parentesi filosofiche, ma la profondità cosmica del romanzo e le suggestioni di molte pagine valgono la fatica.

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