Gradimento Medio-basso
e non lo rileggerei

Cantilena mattutina nell'erba

scritto da Vilhjalmsson Thor
  • Pubblicato nel 1998
  • Edito da Iperborea
  • 351 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 18 novembre 2010

" Il mondo intero era pieno di incantesimi in fermento nella nebbia che dilagava.
I blocchi di lava si trasformavano in fortezze, i picchi di roccia in torri ....
la nebbia fluttuava sopra le valli, trasformandole in calderoni ribollenti, calderoni delle Norme, e planava sulla lava, sui luoghi sacri, su alture lontane invisibili dai sentieri battuti dai cavalli.
E la nebbia si riversa.
Da dove vieni ? Cosʼaspetti ? Hai qualcosa davanti a te ?, qualcosa dietro ? O è solo questo, solo la tua vita, qui e ora, ovvero da nessuna parte ? Come, perché, tu ?" Un ambiente irreale e angosce esistenziali attraversano tutto il romanzo.
Siamo nel medioevo, nella mitica Islanda, Sturla è un personaggio storico, che persegue lʼambizioso disegno di unificare tutta lʼisola.
Nella prima parte del libro, la più suggestiva perché forse ambientata nella natura misteriosa di unʼisola fredda e calda nello stesso tempo, la facile amicizia dei giovani si trasforma in tradimenti, uccisioni e violenze che contraddistinguono le lotte continue tra i clan.
Bellissima è la scena iniziale della tempesta, dove la solidarietà permette al gruppo di ragazzi di salvarsi: ma è un legame che può sopravvivere solo nel sogno, in un castello fatato, dal quale bisogna uscire verso il proprio destino: " allora venne preso da un tale torpore che gli fu impossibile stare sveglio.
E fu come se le sale là dentro si rinchiudessero nella montagna.
Gli parve di svegliarsi di sobbalzo e che il paesaggio scomparisse nella nebbia.
Allora si svegliò.
E mai più ritrovò quel castello e i suoi abitanti".
La lotta tra i clan conduce Sturla a compiere delitti, anche contro la chiesa.
Nella seconda parte del romanzo Sturla va in pellegrinaggio a Roma per ottenere il perdono: è un viaggio per unʼ Europa medioevale dilaniata dalla violenza, in una paesaggio triste e cupo.
I rimorsi perseguitano Sturla e si palesano in incubi notturni, in visioni terrificanti di corpi dilaniati.
Quale deve essere la sorpresa quando ad accoglierlo non è una città santa, ma una Roma pittoresca e corrotta, che lo assolve in una scena surreale, dionisiaca e felliniana, tra personaggi mascherati, più degni di un festa orgiastica che di una cerimonia di espiazione.
Al ritorno da Roma, Sturla si ferma a Parigi per impadronirsi delle arti della magia nera così da avere un mezzo in più per conquistare lʼIslanda.
La terza parte del romanzo è un epilogo.
Sturla comincia nuove battaglie e compie altre crudeltà: ma non è più sicuro di sé stesso, la sua debolezza lo perderà e lo condurrà alla morte.
È ormai un uomo dai due volti come un personaggio di una leggenda, che si diceva che " per metà il suo volto era brutto e spaventoso, e così anche il corpo, mentre dallʼaltra parte era chiaro e bello quanto si potrebbe desiderare".

La forza e la debolezza del romanzo stanno nella sua frammentazione: una serie di scene, fatte di una avvallarsi di episodi e di sogni, pensieri del personaggio, e sorrette da una prosa ricca di suggestioni, per certi aspetti vicina alla poesia.
Anche se fortemente ambientato nel contesto islandese, da cui trae fascino ed ispirazioni, in realtà ciò che emerge è il dramma di un uomo che va verso la modernità e che non riesce a farsi rinchiudere, e limitare, dalle regole della società medioevale.
Nei suoi dubbi e nel suo conflitto interiore, Sturla è veramente un personaggio dai due volti: il passato, e il suo ruolo sociale, che lo vuole guerriero e capo clan, e la coscienza di una inutilità esistenziale, di un divenire.
Nel capitolo che dà il titolo al libro, la descrizione metafisica del mattino sintetizza questa sospensione e chiarisce il fascino della scrittura." È mattino.
Cʼera quiete, mentre il sole saliva sul crinale del monte, prima colmando di luce il passo, poi correndo ad abbracciare pareti e rocce.
Addolciva massi e pietre aguzze, ne imbiancava qualcuna, ne indorava altre, smussava le asperità di picchi e rupi.
Il vento era così tenue che i fili dʼerba erano immobili e rispecchiavano dritti e rigidi nel piccolo ruscello, aspettando.
Che cosa ?.
Che fosse il momento, ancora una volta.
E i fiori esultavano, quando il sole li abbracciò così delicatamente che non un calice né un petalo si mossero.
Non regnava né gioia né dolore, erano la stessa cosa.
Erano la stessa cosa, non cambiava nulla.
Ma se era dolore, era così soave in quel chiarore appena nato, in quella resurrezione dorata, che non era pena; se invece era gioia, non era felicità.
Ma il tempo attendeva in agguato, con la caducità insita in ogni cosa nellʼeternità del tutto, quando ogni cosa tende a tornare alla terra e a disgregarsi e a dissolversi in materia primordiale in cerca di forme nuove e sconosciute".

Perché non leggerlo ? La suggestione dei bozzetti, la profondità dei concetti, la bellezza delle descrizioni della natura non riescono a compensare la frammentazione del racconto e la frequente incomprensibilità dei contenuti e della successione degli avvenimenti.

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