Il libro ripercorre la storia della Cina dal 1909 al 1978: dalla Cina feudale ed imperiale sino alla fine della Rivoluzione Culturale, attraverso lʼinvasione giapponese e la lotta per lʼindipendenza, la guerra civile tra i comunisti e il Kuomintang, la vittoria di Mao e la nascita della repubblica popolare, i lunghi anni di perenne rivoluzione delle guardie rosse e i conseguenti sconvolgimenti sociali.
Queste vicende drammatiche sono narrate dal punto di vista di tre donne: la nonna, ancora prigioniera della società tradizionale, la madre, che incarna la figura della donna cinese emancipata, ed infine la figlia Jung Chang, protagonista e narratrice, espressione della nuova Cina.
Il racconto si conclude la partenza di Chang per lʼAmerica.
È un grande affresco storico, talmente dettagliato da essere una sorta di resoconto (né saggio né romanzo), con la conseguenza di appiattire le vite individuali e frammentare i grandi avvenimenti politici e sociali, rendendoli inesplicabili.
È inutile sintetizzare il libro; è più interessante soffermarsi su alcuni temi di fondo.
Cosa significa vivere allʼinterno di un grande mito, che si dissolve lentamente ma inesorabilmente ? La giovane Chang è cresciuta nel culto di Mao e sino alla fine cerca di salvarne la figura.
"Che cosa era stato a trasformare la gente in mostri ? Perché tutta quellʼinutile brutalità ? Fu allora che la mia devozione a Mao cominciò a vacillare.
(...) Nella mia mente cominciarono a insinuarsi dubbi sullʼinfallibilità di Mao, ma a quello stadio, come altre persone, attribuivo la colpa più che altro alla moglie di Mao e allʼAutorità della Rivoluzione Culturale.
Mao, lʼimperatore divinizzato, era ancora al di sopra di ogni sospetto".
Poi lo giustifica in qualche modo.
"Mao trovava soffocante lʼidea del progresso pacifico: era un condottiero militare irrequieto, un poeta - guerriero, e aveva bisogno di azione, di azione violenta".
Ed infine arriva ad una svolta definitiva: crollano le certezze travolgendo lo stesso legame con la Cina.
"Ora mi chiedevo: se questo è il paradiso, allora lʼinferno che cosʼè ? (...) nel mondo esisteva davvero un posto più carico di sofferenza.
(...) Fu in quello stato dʼanimo che composi la poesia.
Parlavo della morte del mio passato indottrinato e innocente come di foglie morte strappate a un albero da un turbine di vento e trasportate in un mondo senza ritorno." Ad incrinare la grande devozione verso Mao è anche il contrasto tra i legami familiari e i valori comunitari.
La madre di Chang ha rischiato la vita per la liberazione della Cina e per lʼidea comunista, eppure per il suo carattere indipendente ed attento ai valori autentici della vita, come lʼamicizia, viene additata alla pubblica disapprovazione.
Quando chiede quali sono le cose per cui deve chiedere istruzioni al Partito, le viene risposto "Tutte".
Non cʼè uno spazio individuale.
"Mia madre aveva diciotto anni, si era appena sposata ed era piena di speranze per una nuova vita, ma si sentiva infelice.
(...) Scoprì di non riuscire a darne la colpa al Partito, che le sembrava nel giusto, così incolpò mio padre, prima per averla messa incinta e poi per non averla sostenuta quando era stata attaccata e respinta".
La decisione di Chang di abbandonare la Cina è anche una fuga dal destino di sua madre, la quale ha talmente interiorizzato lʼautorità del Partito da non rendersi conto che il richiamo a valori comunitari è ipocrita e assurdo, e giustifica soltanto un potere assoluto.
Nel distacco di Chang verso il suo paese natale, nel rifiuto della sua patria e nellʼ idealizzazione dellʼOccidente, incide anche il padre, la cui devozione al comunismo è assoluta, è un uomo "fedele innanzi tutto alla rivoluzione".
Quando però fu costretto a bruciare i suoi libri, scoppiò in un "pianto lacerante, incerto e selvaggio, il pianto di un uomo che non era abituato a spargere lacrime".
Lʼ unica reazione è lʼaffetto, una debolezza "borghese" criticata dal Partito.
"Rimasi così atterrita che sulle prime non osai far nulla per consolarlo.
Alla fine lo abbracciai da dietro e lo tenni stretto, ma non sapevo cosa dire.
(...) Dopo il falò, ebbi la netta sensazione che nella sua mente fosse cambiato qualcosa": La pazzia è lʼunica conclusione ad una vita totalmente dedicata alla fede politica.
La lunga carrellata storica ha un lieto fine per Chang (vince una borsa di studio e può andare in America), ma si conclude malamente per la Cina: un luogo non più amato dalla giovane.
Sarebbe stato un bel tema se non fosse stato trattato da un libro ibrido: non è un saggio di storia perché questʼultima, per essere utile, può essere studiata solo "dallʼalto", così da fornire una visione complessiva; non è un romanzo perché avrebbe richiesto uno stile narrativo maggiormente ricco nelle parole e nelle immagini, sarebbe stato neccessario approfondire i sentimenti dei personaggi e i loro rapporti reciproci, dettagliare di meno non limitandosi a descrivere, preoccupandosi invece di esprimere e comunicare il clima culturale e sociale.
Insomma, non si può parlare di un luogo se non lo si ama più.
Non si può scrivere di storia partendo da un microcosmo.
Perché non leggerlo ? È lungo, piatto, prolisso; non aiuta a capire la storia recente della Cina.