Il romanzo è ambientato a Shanghai tra il 1911, crollo dellʼimpero cinese, e la fine degli anni ʼ30, poco prima dellʼoccupazione giapponese.
La Cina tradizionale si sta sfaldando, crollano le certezze secolari sulle quali reggevano le famiglie allʼapice della gerarchia sociale: la burocrazia imperiale e le grandi proprietà terriere.
È un lungo periodo di transizione, per molti aspetti simile a quello che stiamo vivendo oggi.
Su questo sfondo la scrittrice tratta un tema universale: la follia generata dalle regole e dai rapporti familiari, lʼeffetto devastante della "ridondanza delle apparenze artificiali".
Cao Qiqiao viene da una famiglia di bottegai e ha sposato "il secondo fratello maggiore" di un casato altolocato, anche se ormai in declino.
In tal modo ha compiuto un salto sociale, diventando la "seconda Cognata", ma è entrata in un "grande clan, dove le vecchie generazioni si servono del loro prestigio per opprimere gli altri, e quelle più giovani sono come dei lupi e delle tigri".
Qiqiao sa benissimo di essere disprezzata, perché di origine inferiore; deve curare il marito, invalido sin dalla nascita e con il quale ha avuto sporadici rapporti dʼamore; odia il suo stesso fratello perché lʼha ceduta in cambio di una ricca dote e le chiede continuamente soldi.
È sola, si sente come prigioniera, simile ad "un esemplare di farfalla dentro una teca di vetro, smagliante e desolato".
Cova dentro di sé un profondo rancore, che si esprime nella maldicenza per danneggiare le cognate, "signorine di famiglie onorate e rispettabili".
Attende con ansia il momento nel quale potrà entrare in possesso dellʼeredità e divenire ricca.
Ma viene defraudata dal "padrone anziano", il capo famiglia, il quale favorisce i maschi rispetto alle femmine e nella ripartizione dei beni tiene conto del rango sociale di provenienza.
Qiqiao si rinchiude nella sua casa, a presidiare gli averi avuti in eredità e ad allevare i figli.
Lʼodio verso sé stessa, per il suo destino amaro e per non aver saputo cogliere le poche opportunità che le si sono presentate, si traduce in una crescente pazzia.
"Le sembrava di avere davanti agli occhi come un velo di perle ghiacciate che una folata di vento caldo le schiacciava sul viso; poi il vento passava, risucchiando via con sé quel velo, e lei non aveva ancora ripreso fiato quandʼecco che il vento soffiava di nuovo e lʼavviluppava tutta, la testa, la faccia, una folata fredda, una calda".
Sempre più cattiva e violenta cerca conforto ed oblio nellʼoppio.
La sua lucida follia è distruttiva, per sé e per chi la circonda: la figlia, alla quale brucia ogni possibilità di matrimonio e che rende oppiomane, il figlio, debole e corrotto, asservito alla volontà dispotica della madre, la nuora, disprezzata, aggredita, allontanata dal marito, costretta a ripercorrere lʼinfelice esistenza di Qiqiao; la stessa concubina del figlio, pur elevata al rango di moglie, non sopporta il clima familiare e si uccide.
"Qiqiao sta sdraiata, in dormiveglia, sul letto da oppio.
Da più di trentʼanni porta al collo questo giogo dʼoro, ne ha utilizzato i pesanti corni per spazzare via alcune persone, e quelli che non sono morti vivono orami solo a metà.
(...) Tastandosi sul polso il bracciale di giada, se lo spinge in alto lungo il braccio ossuto, ormai esile come un fiammifero, fino a raggiungere lʼascella, e poi lo fa scendere di nuovo giù.
Quasi non riesce a credere di aver avuto le braccia tornite quando era giovane.
(...) Sono tutti fantasmi, fantasmi di tanti anni prima, fantasmi che non sono mai nati ....
Che cosʼè la verità ? Che cosʼè la menzogna ?"
Il tema della follia allʼinterno delle chiuse pareti domestiche è un argomento largamente trattato dalla letteratura.
Se non fosse per il contesto cinese la storia non è particolarmente innovativa.
La narrazione della rigida e spietata gerarchia dei grandi clan cinesi si evolve rapidamente: i personaggi si muovono con maggiore libertà, potrebbero fare le loro scelte perché la tradizione si è ormai indebolita.
Ed è qui il dramma.
Qiqiao, i suoi figli, le altre figure minori potrebbero crearsi una propria vita, ma non lo fanno, per pigrizia, rassegnazione, voglia auto distruttiva.
E come se la scrittrice criticasse il suo ambiente sociale, lʼalta borghesia di Shanghai, proponendo un romanzo tipicamente occidentale, che non permette di giustificarsi dietro le costrizioni della consuetudine.
Ma Zhang Ailing non è così severa; ama "il contrasto sfumato" e lo fa tramite le descrizioni: lʼuso dei colori, il gioco della luce della luna e delle ombre, gli ambienti sovrabbondanti di oggetti ormai inutili danno unʼ idea di desolazione esistenziale, di destino irrevocabile e per questo universale.
Non è la società cinese ma la generale condizione umana.
"Ombre bluastre sul pavimento, e ombre bluastre sulla volta del baldacchino, e anche i suoi piedi sono immersi in quellʼombra mortale.
(...) Fuori dalla finestra cʼera anche quella luna bizzarra che faceva rizzare i capelli, un piccolo sole bianco scintillante in un cielo di lacca nera.
(...) Una stanza così ampia, stracolma di casse e bauli, materassi, biancheria da letto, tra cui sicuramente avrebbe trovato un lenzuolo a cui appendersi.
(...) Aveva paura di questa luna ma non aveva il coraggio di accendere la luce".
Perché leggerlo ? Un breve racconto, affascinante per lo stile narrativo.