Tra i migliori che ho letto!
e lo rileggerei volentieri

Our man in Havana

scritto da Greene Graham
  • Pubblicato nel 1958
  • Edito da Heinemann
  • 273 pagine
  • Letto in Inglese
  • Finito di leggere il 24 dicembre 2008

Il romanzo è ambientato a Cuba nel periodo immediatamente precedente alla rivoluzione.
Il protagonista, venditore di aspirapolvere (gli affari vanno male) e vedovo con una figlia quattordicenne, viene ingaggiato dallo spionaggio inglese come agente all’Avana.
Attirato dai soldi, il protagonista crea una falsa rete di spie e si inventa una serie di informazioni, ovviamente totalmente false.
A causa dell’importanza che assume la sua attività, Londra invia due agenti a sostegno, tra i quali Beatrice, della quale il protagonista si innamora.
Il racconto si sviluppa intorno a questo tema paradossale, che ironizza sui sistemi di spionaggio.
Anche quando verrà scoperto, al protagonista verrà offerto una posizione all’interno dell’organizzazione, in quanto non è possibile ammettere l’errore e comunque qualche cosa di vero può esserci comunque nelle informazioni fornite, anche se chiaramente false.
Lo stesso Graham Greene ha inserito questo romanzo nella categoria “divertimenti” e questo giudizio ha senza dubbio influenzato i critici e i lettori nell’interpretazione del libro: una derisione del mondo dello spionaggio e un’accusa, anche se in forma di scherno, della sua tendenza a falsificare la realtà (tema molto attuale).
In realtà , se si legge il romanzo al di fuori di questa chiave di lettura, emergono altri temi interpretativi: il mondo immaginario creato dal protagonista (una rete di spie e le false informazioni) mette in moto un meccanismo di vicende anche tragiche, che distrugge la serenità e i legami di amicizia che contraddistinguevano la vita del protagonista.
Inoltre quest’ultimo si muove privilegiando i sentimenti familiari (dare alla figlia un futuro di prosperità) rispetto alle esigenze della politica e ai valori di fedeltà al proprio paese.
Emerge la contraddizione tra i valori "veri", costituiti dall’amicizia e dai legami familiari, rispetto a quelli "falsi", rappresentati dal senso di appartenenza a entità astratte, quali la nazione e le ideologie.
Nell’epilogo Beatrice, in realtà l’unico carattere veramente positivo del romanzo, spiega ai propri superiori che anche se lo avesse saputo non avrebbe fermato il protagonista, perché "stava lavorando per qualche cosa di importante non per la convinzione di qualcuno su una guerra globale che potrebbe non capitare mai.
..
e poi cosa significa il proprio paese: una bandiera che qualcheduno inventò duecento anni fa".
Il limite più significativo, che rende appropriata la definizione di "divertimento", sta proprio nella figura del protagonista, che non sembra rendersi conto di ciò che ha creato, subendo di fatto gli avvenimenti e lasciando che siano gli altri a creare e a risolvere i problemi.
Si tratta di un atteggiamento passivo, che rende a certi tratti monotono e scontato il romanzo.
Lo stile è molto efficace, molto legato ai dialoghi e con una struttura della frase con evidenti connotati cinematografici: l’inglese è quello classico.

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