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e non lo rileggerei

The Ottoman Cage: a novel of Istanbul

scritto da Nadel Barbara
  • Pubblicato nel 2000
  • Edito da St. Martin's Press
  • Letto in Inglese
  • Finito di leggere il 22 giugno 2014

Un cadavere viene trovato in un vecchio edificio, tipicamente in legno, adiacente al Topkapi Museo, a Istanbul.
È un ragazzo, tenuto rinchiuso per anni, sedato dallʼuso costante di droghe.
Non è circonciso, così come lʼinquilino dellʼappartamento viene descritto dai vicini come un riservato signore armeno.
Tutto fa pensare ad un delitto allʼinterno della comunità armena, ma "gli abitanti di Istanbul non sono conosciuti per la loro predilezione per le cose semplici".
Inizia una difficile indagine.
A condurla è lʼ ispettore Ikmen: un tipico turco moderno, laico, apparentemente di larghe vedute, ma di fatto fortemente legato alle tradizioni.
Dedito al lavoro e alla frequentazione notturna dei bar, trascura la numerosa famiglia e la moglie malata.
Malgrado il suo grave stato di salute, le ha affidato il padre, ormai sconvolto dalla demenza senile.
Il coroner, e migliore amico di Ikmen, è un agiato medico armeno, mentre il principale collaboratore nella polizia è un ebreo.
È un miscuglio di comunità, che riflette la storia di Istanbul, con la particolarità che gli armeni, per il genocidio del 1915, sono "in qualche modo un caso speciale, perfino rispetto alle altre comunità non turche".
Questa particolarità si chiama sfiducia.
Ci si può fidare di un armeno, anche se da anni amico e collega ? Oppure, invece, è vero che il legame tra gli armeni è più forte dellʼamicizia e del ruolo istituzionale, che si ricopre ? Accanto alle indagini, che si evolvono con scoperte inaspettate, il romanzo parla della cooperazione tra persone che appartengono a culture, storie e religioni differenti.
Solo se la lealtà istituzionale fa premio sulla solidarietà di clan cʼè la garanzia che esista la libertà.
Come dice Ikmen "noi che abbiamo scelto di servire la legge, la dobbiamo mettere per prima, davanti ai nostri sentimenti personali", perché fino a quando "ci sono uomini come noi gli "altri" non possono realmente prendere il controllo".

È un noir ben costruito.
Lʼautrice dipana con perizia gli indizi, anche se con uno ritmo narrativo privo di suspense, talvolta noioso.
A latere della storia principale, si sviluppano le vicende personali dei diversi protagonisti.
In particolare, il racconto si sofferma sulla figura di Ikmen.
La sua indifferenza verso la moglie lo rende sinceramente antipatico, al di là della funzione emblematica, che sembra affidargli lʼautrice: quella della contraddizione della Turchia moderna tra occidente ed oriente.
Lʼinclinazione a soffermarsi sulle perversioni sessuli e il finale banale e scontato compromettono la qualità di un romanzo, per altri aspetti di buona fattura.

Perché leggerlo ? È un buon noir.

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