Questo romanzo riporta la mente ad un altro libro, apparentemente così lontano nel tempo e nei contenuti: "Le Confessioni d'un italiano" di Ippolito Nievo (vedi la recensione in questo sito). Come per Alma, il grande racconto di Nievo è una storia d'amore, che prende le mosse dall'infanzia in quella terra marginale che è il Nord Est dell'Italia. Carlino, il protagonista narrato da Nievo, è innamorato della bella cugina Pisana, che solo nel punto di morte riconoscerà di averlo sempre amato, così Alma rincorre Vili, quel <<bambino magro, gli occhi neri e una frangia scura da teppisti>>, che ha fatto irruzione inspiegabilmente in una famiglia in strano e incerto equilibrio, portandosi via l'attenzione del padre. E come per i protagonisti delle "Confessioni", la vita di Alma <<è sempre stata immersa fino al collo nelle questioni che il passato o la memoria e perfino le ossa sotto terra proiettavano nel presente, e lei non aveva fatto altro che camminare sul filo di una ragnatela sforzandosi di evitare le trappole della Storia, quando invece ci stava camminando sopra>>. Se, però, la storia d'amore di Nievo si sviluppa dentro la grande e gloriosa cavalcata del Risorgimento, quella di Alma è segnata e travolta dalle tragiche vicende del "di là", quel mondo sconosciuto oltre Vienna e Trieste, quelle terre sempre rimosse dall'immaginario collettivo, il dissolvimento della Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, e oggi la guerra in Ucraina. Alma vive ormai da molti anni a Roma, apprezzata giornalista, ricercata dagli uomini per quel fascino che hanno quelli "di là", ma non può confessare, perché non sarebbe capita, che <<solo un esule da quei mondi è in grado di suscitare in lei qualcosa di simile a un innamoramento>>. L'occasione per tornare "di là" è la morte di suo padre che le ha lasciato "una scatola", in cui dovrebbero esserci i segreti della sua famiglia, insieme con quelli della grande Storia. L'attende confuse combinazioni di sensazioni in cui presente e passato si mescolano insieme, ma non c'è mai il futuro: la nostalgia per i nonni materni, per la bella e solida casa mitteleuropea; la villetta sul Carso dove sono andati a abitare i genitori, per stare lontani dai nonni e dalla buona borghesia; gli arrivi e le partenze improvvise del padre, sempre coinvolto nelle grandi vicende; la madre anch'essa distante perché sempre occupata nella "Città dei Matti"; i bagni e i giochi sulla riviera di Barcola; e poi i morti, gli stupri, le stragi delle guerre balcaniche, immortalate dalle foto di Vili: <<una fossa piccola, una fossa enorme, una fossa con dei corpi, il viso di una ragazza tenuta per i capelli>>. Scoprirà che nella scatola non c'è niente d'importante, come nel grande romanzo di Kenzaburo Oe ("La foresta d'acqua", vedi la recensione in questo sito). Ciò che troverà sarà lo svelamento del mistero di Vili: fotografo delle stragi perpetrate dai serbi per dare testimonianza dei crimini commessi durante le guerre balcaniche. Se questa rivelazione potrà dare sollievo all'animo di Alma, non sarò possibile ritrovare l'amore per chi ha sempre amato. <<I loro destini si sono incrociati, pensa Alma. e questo è tanto, i tentativi di fuga non contano. (...) Si guardano. E' così sexy, pensano. La solitudine e le incomprensioni, tutto l'amore e tutti quei morti, (...) quei loro teneri anni, e anche tutti quei pensieri sul caos delle loro vite lontane>>.
Ci sono romanzi che vogliono dire troppo, che mescolano grandi affreschi della storia con le vite familiari, senza però riuscire a approfondire a sufficienza le diverse dimensioni dell'esistenza; e tutto resta in superficie. La relazione privilegiata del padre con Vili (quelle passeggiate insieme che escludevano Alma) non è analizzata nei suoi risvolti psicologici ed emotivi: è come il contenuto della scatola che non dice nulla di intimo. Lo stesso legame tra Alma e Vili, che attraversa tanti anni della loro vita, è trattato con spicchi d'esistenza, certamente meglio nella seconda parte del romanzo, nella Belgrado sotto la guerra, ma mai portato fino in fondo. Chi era Vili, una comparsa della Storia, obbligata, come dice lui stesso, <<a essere uno che mente, un falsario, un vigliacco, ad alzare il calice a brindisi disgustandosi illudendomi che così avrei salvato qualcuno>>? E perché Alma perde sempre l'occasione per rompere il guscio entro cui si appaga Vili? Perché non li dice semplicemente che l'ama e lo porta con sé a Roma, lontano da "di là"? O c'è un mistero indicibile (la rigidezza degli affetti familiari, le stragi e le morti, il mondo dei Matti) che impedisce di dispiegare il senso di umanità reciproca? Troppe domande rimaste senza risposta!
Sotto il profilo stilistico il romanzo si avvia faticosamente per salire di livello nella seconda parte, quella della guerra, senza dubbio la migliore. Il continuo avanti e indietro nel tempo e nello spazio confonde il lettore che deve di continuo riprendere le fila della narrazione. E' vero che il flusso dei ricordi e delle sensazioni non ha tempo, e tutto ritorna senza mai andare avanti, ma è pur vero che non seguire una sequenza disorienta il lettore, lo confonde inutilmente. La scrittura è di alta qualità, nei dialoghi così come nelle descrizioni: manca tuttavia di mordente, non lascia il segno, anche per l'uso di un italiano standard, scolastico sotto il profilo lessicale.
Perché leggerlo? Interessante la sovrapposizione della Storia con le vicende familiari.