Tra i migliori che ho letto!
ma non lo rileggerei

Decameron

scritto da Boccaccio Giovanni
  • Pubblicato nel 1351
  • Edito da Einaudi
  • 1261 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 20 agosto 2023
Se cerchiamo nello Zingarelli, troviamo la seguente spiegazione dell'aggettivo "boccaccesco: "lezioso, salace come in certe novelle del Boccaccio". E il dizionario aggiunge: "identifica situazioni, descrizioni, scritti di argomento sessuale, ai quali non è tuttavia estranea una vena di leggerezza, di divertimento e anche di mordacità". Questa definizione riflette il sentire comune, che nasce da molte novelle del Decameron (si pensi alla quarta novella della prima giornata, dove un monaco e il suo abate si portano a letto una giovane contadina), ed è in assonanza con la lingua, popolaresca, ricca di doppi sensi e spesso volgare. D'altra parte per Giosuè Carducci il Decameron è "il rovescio della commedia divina di Dante" e Boccaccio un "cinico, (...) in cui non v'è che paganesimo e decrepita corruzione"(citazioni da "Vita e Opere di Giovanni Boccaccio" in Vittore Branca nell'introduzione al Decameron). Povero Boccaccio che tanto amava Dante! Il dibattito critico è molto vasto e articolato; da semplice lettore rilevo alcuni tratti generali per poi proporre possibili raggruppamenti delle cento novelle. Nel proemio l'autore scrive che le donne sono ristrette "da' voleri, da' piaceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de' fratelli e de' mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano... (...) Adunque, acciò che in parte per me s'amendi il peccato della fortuna". La donna è al centro delle novelle; non è la Beatrice di Dante (personificazione dell'Amore per il Bene) né la Laura di Petrarca, oggetto del desiderio e mamma nello stesso tempo; parliamo della donna vera, fatta di "carne, (...) "piena di concupiscibile disidero",  che si sente orgogliosamente uguale agli uomini, come dice Ghismunda al padre Tancredi (I novella della quarta giornata): " riguarda alquanto a' principi delle cose, tu vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere e da un medesimo Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenze, con iguali vertù create".  La stesura delle novelle prende le mosse da un evento straordinario e tragico: la peste del 1348. Ed è proprio dalla descrizione di questa terribile epidemia che possiamo trarre altri due tratti essenziali dell'opera. Con pennellate da grande sociologo Boccaccio analizza i meccanismi sociali innescati dalla pestilenza, cogliendo lucidamente come essa abbia devastato soprattutto le classi più misere della società, che non potevano proteggersi dal contagio fuggendo dalla città. E' un'analisi acuta e fredda, senza quel moralismo compassionevole e fastidioso che è presente nella descrizione della peste da parte del Manzoni. La povera gente voleva seppellire degnamente i propri defunti; e allora"infinite volte avvenne che, andando due preti con una croce per alcuno, si misero tre o quattro bare, da' portatori portate, di dietro a quella: e, dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n'avevano sei o otto e tal fiata più". Certo a una mentalità ottusamente convenzionale, come quella di Carducci e pure di Benedetto Croce, questa ilare scena potrebbe parere un atto di cinismo mordace di un monello, che si ride del mondo. E invece essa rivela l'atteggiamento empatico e pessimistico che pervade l'intera opera di Boccaccio: un realismo partecipe delle sofferenze dell'essere umano. Donna viva, narrazione della società così com'è, simpatia verso il destino dell'umanità, sono queste le caratteristiche delle 100 novelle. Proprio alla luce di queste chiavi interpretative esse possono essere raggruppate in quattro fondamentali filoni, per ciascuno dei quali indico la novella più rappresentativa. Il primo filone è quello fiabesco, per il quale Boccaccio attinge alla letteratura arabo-mussulmana e a quella cavalleresca: segnalo la novella VII della seconda giornata. Il secondo gruppo di racconti è quello pittoresco, e qui non si può fare a meno di indicare un capolavoro: la celeberrima novella V della seconda giornata. Ci sono poi le maschere della Commedia dell'Arte, tratte dalla cultura popolare, cittadina e villana: per ridere amaramente su noi creduloni consiglio la novella X della sesta giornata. Infine per il filone moraleggiante, stanca e pessimistica riflessione del Boccaccio sulla vita e le sue disgrazie, invito a leggere l'ultima novella del Canzoniere, che tanto piacque a Petrarca e ai contemporanei (novella X della decima giornata).

Il Decameron è un grandioso capolavoro di poesia-prosa, una sintesi magistrale tra l'endecasillabo dantesco e la narrativa padana e mediterranea. Si è parlato di plurilinguismo per indicare la ricchezza lessicale del Boccaccio, che attinge a tante lingue del nostro paese per rispecchiare la differenziazione sociale e culturale del nostro Paese. Com' è stato scritto (vedi Vittore Branca "una chiave di lettura per il Decameron" nell'introduzione all'edizione Einaudi) l'espressionismo linguistico è programmatico perché "mira a creare, a livello fonetico, lessicale, grammaticale, un'atmosfera ambientale più di spiriti che di cose, anche con suggestioni foniche per non dire musicali". Insomma, il Decameron è una testimonianza di ciò che poteva essere la lingua italiana e non è stata, rifiuto dell'omologazione di una classe dirigente distante e spaventata dal popolo. Abbiamo dovuto attendere il secondo Novecento!

Perché leggerlo? Divertente, affascinante, splendido.

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