Ebano è una raccolta di appunti di viaggi compiuti in Africa nell'arco di trent'anni: dall'indipendenza di questo continente sino alle vicende più recenti, come il genocidio nel Ruanda. Il libro racchiude in sé la natura del saggio e quella del racconto di una esperienza di vita, profondamente coinvolgente per l'autore. Reporter squattrinato di un quotidiano di Varsavia altrettanto privo di soldi, Kapuscinski si ammala di tubercolosi e spiega al dottore che non può tornare in patria. "Il sogno della mia vita, lavorare in Africa, sarebbe svanito per sempre". Da questa passione per il viaggio e per l'Africa ha origine una peregrinazione da una parte all'altra del continente: dal Ghana nella costa occidentale all'isola di Zanzibar ad oriente, nell'Africa sub-sahariana e in quella tropicale, sino al Corno d'Africa e ai grandi Laghi. Il lettore saltella e "tutto si confonde, si accavalla, sbiadisce. (...) Spesso la nostra memoria è talmente satura di nomi di località, regioni e paesi, che non riusciamo più ad associarli a un'immagine, a una veduta, a un paesaggio, a un episodio o a un volto. (...) L'unità mondiale, così difficile da raggiungere nella realtà pratica, si realizza nei nostri cervelli, nei suoi strati di memoria perduta e confusa". Non diversamente dal superficiale uomo d'affari che del mondo conosce solo gli aeroporti, i buoni ristoranti e gli alberghi di lusso, il curioso reporter rischia la vita per darci lo stesso ritratto: un' Africa eguale nel tempo e nello spazio, e sempre senza speranza perché tutte le parti del grande continente sono accumunate "dalla stessa sventura, dalla stessa sorte e dalla stessa incertezza". Certo, Kapuscinzki leva alta e vigorosa la voce contro "l'internazionale della marmaglia predatrice", così come si sente parte della "vita tormentosa, del penoso vegetare sempre al limite della morte" del popolo oppresso e violentato, e per questo sempre esule. Eppure, dopo tanti anni in viaggio, lo splendido capitolo conclusivo, dal titolo suggestivo e sfuggente "All'ombra di un albero, in Africa", ci lascia un messaggio di amara rassegnazione. Lo schiavismo, il colonialismo rapace e crudele, l'ingordigia delle classi dirigenti, la desertificazione e la rapina ambientale, la morte e la fuga di intere popolazioni hanno distrutto "l'ombra dell'albero" al riparo della quale si tramandavano storie e tradizioni: senza quest'ombra l'africano "perderebbe ogni nozione e persino la memoria del suo ieri, diventando gente senza passato, ossia nessuno. Quegli uomini perderebbero tutto ciò che li univa, sparpagliandosi ognuno per la sua strada, da solo.
L'Africa ha una superficie di 30,37 milioni di chilometri quadrati, così grande da contenere gli Stati Uniti, la Cina, l'India, l'Europa ed altre nazioni. Ha 54 stati e 1.500 lingue. C'è da chiedersi perché guardiamo sempre l'Africa come qualcosa di uniforme e non cerchiamo di cogliere le diversità, e in tal modo pure i cambiamenti e le potenzialità del grande continente. Pur benevolo e attento, Kapuscinski cade nella stessa visione eurocentrica ed esotica che ha caratterizzato le relazioni tra l'Occidente e l'Africa. Da qui, e non solo dalla disorganizzazione della struttura del libro (appunti di viaggio lasciati così senza una trama complessiva), nasce un senso di ripetitività: ogni resoconto sembra identico all'altro, solo raramente emergono gli incontri e le storie mentre i giudizi, tutti condivisibili, paiono preconfezionati. In "Orientalismo" Edward Siad sosteneva che l'Occidente vede l'Oriente come uno specchio di sé stesso: ricerca ciò che fantastica sia l'Oriente ( un'idea vagheggiata, sedimentatesi nella sua storia) senza studiare realmente i popoli e le culture che compongono l'Oriente di oggi; con lo stesso procedimento noi vediamo l'Africa: è sempre "Cuore di Tenebra", terra vitale e affascinante certo, ma sempre lontana dalla modernità e di conseguenza destinata ad essere sottomessa, a subire sofferenze inaudite dalle quali non può sfuggire.
Perché leggerlo? Vale la pena per l'ultimo capitolo.