Nel prologo Ricardo Piglia riporta un'annotazione di Carlo Marx sul male, come "principio fondamentale che ci rende creature sociali, (...) risiede qui la vera origine di tutte le arti e le scienze e, a partire dal momento in cui il male dovesse cessare, la società necessariamente decadrebbe, se non addirittura perirebbe". Se pensiamo alla storia dell'Argentina, storia che l'autore attraversa saltellando qua e là, la violenza, lo sterminio dei popoli nativi, i ripetuti colpi di stato da parte dei militari, il populismo peronista e il liberismo spietato, la repressione poliziesca sino ai desaparecido, non sono anomalie ma elementi connaturati a una società capitalistica; e solo con un approccio razionale si può trovare una spiegazione possibile. Per raggiungere questo fine Ricardo Piglia ha inventato il commissario Croce, un "geniale investigatore" con il nome di un filosofo italiano hegeliano, Benedetto Croce. E' una coincidenza? No di certo, se si considera che "il vero destino di un kantiano è la scuola di polizia" anche se "nessuno è padrone dei propri pensieri. Non esistono le cosidette proprie idee, pensare o è appropriato o non è appropriato" e pure "se non distruggiamo i pensieri, i pensieri distruggono noi". Per spaziare liberamente Piglia non sviluppa un'unica trama, ma si affida a racconti, che l'autore vorrebbe presentare come casuali, inseriti senza un filo logico. In realtà, forzando forse l'intenzione dell'autore, li possiamo raggruppare in alcuni filoni. Il "Film", "L'eccezione", "L'impenetrabile, "La Promessa", sono racconti che riguardano momenti salienti della storia argentina. Si prenda "L'impenetrabile" dove Croce è incaricato di risolvere la scomparsa dell'ingegner Panizza, noto industriale ma dal passato oscuro. Croce risale il Rio della Plata, gli era facile perché "aveva trascorso molte estati sulla vasta laguna (...) per sfuggire alla routine e condurre una vita filosofica". E quando lo incontra, Panizza dice parole enigmatiche (tipo "l'organizzazione del tempo, e non l'invenzione della macchina a vapore è la chiave del capitalismo") per poi squagliarsela definitivamente. Chi è Panizza? E' uno dei tanti europei scappati dopo la seconda guerra mondiale e che non vogliono farsi trovare? E che dire del pianto del commissario nel finale del racconto il "Film", quando Croce scopre che la biondina protagonista della pellicola pornografica è Evita Peron, "quella donna che tanti avevano amato come una vergine". Altri racconti rappresentano i tratti essenziali della società argentina: la malinconia ("La musica"), la superstizione come in "L'Astrologo" e in "Tigre", la virilità come nel paradossale e indecifrabile "Signora X", l'amore per il rischio come nel "Giocatore". E infine Piglia si sofferma sul genere criminale facendo intravedere la sua predilezione per le storie poliziesche all'Agata Christie e per i misteri sconcertanti di Poe. I racconti sono un manuale d'istruzioni e di riflessioni, da cui scopriamo che il metodo di Croce opera "mediante analogie metaforiche, combina l'intuizione poetica con la precisione matematica" ("La conferenza", "La risoluzione" e "Il metodo"). Sullo sfondo c'è sempre l'Argentina: "le strade sono deserte, non c'è un'anima da nessuna parte, non c'è nessuno al porto, è tutto morto, una cosa demenziale, ettari ed ettari di campagna e dietro non c'è niente, cani randagi, ossa al sole, e solo vento, polvere e solitudine. (...) Siamo stati sconfitti così tante volte che ormai non cambiamo più".
Sarebbe necessario conoscere l'Argentina e la sua storia per apprezzare questi racconti; eppure, queste brevi storie ci creano dell' invidia immaginando quale potrebbe essere il nostro Noir, oggi di così grande successo, se ripercorresse il nostro passato recente favorendo la trasmissione della Memoria. Dal punto di vista narrativo la lettura riporta ai "sessanti racconti" di Dino Buzzati (vedi recensione in questo sito): lo stesso senso del paradosso e la medesima disillusione rassegnata. Se si pensa che "i casi del commissario Croce" sono l'ultimo libro di Piglia, scritto quando era già un malato avanzato di SLA, siamo dinanzi a un ben triste testamento, insieme con il desiderio di lasciare un approccio letterario e trasmettere la passione per il genere criminale.
Si fa fatica a finire la lettura, talvolta i racconti sono dispersivi, con numerosi incisi narrativi, talvolta le storie sono troppo paradossali, come accade in Buzzati, è difficile restare avvinti.
Perché non leggerlo? E' interessante ma prolisso e frammentario.