Sconsiglio vivamente
e non lo rileggerei

Nel mare ci sono i coccodrilli

scritto da Geda Fabio
  • Pubblicato nel 2010
  • Edito da Baldini&Castoldi
  • 154 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 06 agosto 2024
Il romanzo ha come sottotitolo "Storia vera di Enaiatollah Akbari". E', infatti, Akbari che racconta a Geda il suo viaggio dall'Afghanistan all'Italia. Che sia un espediente letterario o una reale intervista poco importa, la forma del reportage giornalistico dà la necessaria attendibilità alle peripezie del ragazzo, al suo sogno di libertà e di pace. Akbari vive nel nord dell'Afghanistan ai confini con il Pakistan: appartiene a una etnia scita perseguitata dai talebani. Ancora bambino deve assistere alla fucilazione del maestro, che testardamente voleva tenere aperta la scuola. Per sfuggire alla repressione talebana la madre di Akbari lo porta a Kandahar e lo affida a un conoscente che lo fa arrivare a Quetta in Pakistan. In questa città Akbari deve trovare il modo di sopravvivere, accettando anche lavori immondi come sturare la fogna, immerso nei liquami. Quetta è una sorta di luogo di formazione, dove Akbari impara a farsi largo tra le difficoltà, apprende nuovi mestieri, come quello di piccolo ladro di strada, e conosce altri ragazzini con cui giocare a pallone e sognare un futuro migliore. Ha sentito di un <<un sacco di ragazzini che andavano in Iran. (...) Sentivo queste voci nell'aria, come irradiate da un altoparlante al posto della preghiera dei muezzin; le percepivo nel volo degli uccelli, e ci credevo, perché ero piccolo, e quando sei piccolo cosa puoi sapere del mondo? Ascoltare e credere erano la stessa cosa. Credevo a tutto quello che mi dicevano>>. E soprattutto, quando si è ancora ragazzini, si pensa che l'amicizia dia una tale forza da poter affrontare qualsiasi difficoltà. Purtroppo, poi, si scopre, che "nel mare ci sono i coccodrilli". Akbari se ne accorgerà andando in Iran e poi in Turchia, sempre pensando di aver trovato il posto giusto dove vivere. Se le pagine dedicate a Quetta sono ancora pervase da un senso di avventura, i luoghi, le persone e le vicende rappresentate come in un sogno di realtà, da cui si potrà fuggire tornando a casa, poi, in Iran, Turchia e Grecia, tutto diviene più crudo e cattivo, e pure Akbari diviene più duro, disilluso e pronto a salvarsi anche abbandonando gli amici.  Si pensi all'attraversata in mare sul gommone per arrivare sulle coste della Grecia, quando, tra le onde, hanno perso un amico:. <<abbiamo continuato a remare e a gridare il nome di Liaqat. E a remare. E a gridare. (...) Nulla. Liaqat se l'era preso il buio. A quel punto -- non so bene come sia successo: sarà stata la fatica, sarà stato lo sconforto, sarà stato che ci sentivamo troppo piccoli, già, infinitamente troppo piccoli per non soccombere a tutto ciò -- a quel punto è successo che ci siamo addormentati>>. Ormai solo, Akbari riesce ad arrivare in Italia, un'Italia meravigliosa, ancora accogliente, dove un minore era assistito e dato in affido, ed erano soltanto quindici anni fa!

"In anime scalze" (si veda la recensione in questo sito) Geda scrive che <<la vita è una palla di bigliardo, ogni scontro le fa cambiare direzione; e se si è abbastanza forti e fortunati si può andare ovunque>>. Di là del resoconto del viaggio, in cui la parte più interessante è il ruolo dell'Iran come paese di cerniera e d'immigrazione, la storia di Akbari è un romanzo di formazione che trascende le specifiche vicende. Si diviene adulti affrontando e superando le difficoltà, sapendo apprendere dalle circostanze, anche con una certa dose di opportunismo e pragmatismo. E' il lieto fine che banalizza il racconto, dandogli un senso di dolciastro e pregiudicando in tal modo la drammaticità dell'immigrazione minorile. Il romanzo fa conoscere gli itinerari dei migranti ma tutto è troppo facile, senza sofferenze se non quelle fisiche. La separazione dalla famiglia, il distacco dagli amici, lasciati al loro destino, l'abbondono delle proprie radici paiono agevoli, semplici da superare.

Perché non leggerlo? Alla fine è banale.

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