Nel racconto "Casa Luminosa" una giovane famiglia di migranti è venuta a Roma e crede di avere trovato una casa dove vivere serenamente; ma i vicini, aizzati dalle "donne-corvo", insultano e minacciano l'innocua copia di sposi. La moglie torna al paese natale e il marito resta in Italia. Va in un bar e vede un signore bere tranquillo un chinotto. <<Devo dire che ero un po' stupito e anche forse un po' invidioso di uno che si sentiva così a casa in quel locale, che se ne fregava delle barriere, che non aveva paura di rompere le scatole. Osservandolo avevo capito quanto mi ero sentito, in tutta la mia vita, o un intruso o di passaggio.>> Il tema del viandante senza più un suo luogo è il filo conduttore di questa raccolta di racconti, che più della prosa di Moravia, che riecheggia nel titolo, richiama quella di Mario Soldati (si vedano in questo sito le recensioni dei romanzi di questo scrittore e in particolare "l'Attore") e la claustrofobica atmosfera dei "Sessanta racconti" di Dino Buzzati (pure questi recensiti in questo sito). L'intruso non è solo il migrante; siamo noi tutti, isolati e dispersi in una Roma "tra inferno e paradiso". I protagonisti dello splendido racconto "La scalinata" (snodo della raccolta) sono tutti i dispersi della nostra società. "La madre" sale la scalinata di primo mattino <<e tira fuori il cellulare dalla borsa per scattare l'ennesima foto del panorama. La invia subito a suo figlio, (...) vive con i nonni in un altro continente, in una città umida piena di corvi e palme e polvere.>> "La vedova" << che scende la scalinata in tarda mattinata ha paura del vetro frantumato e stenta a posizionare i piedi. (...) Si sente inoltre aggredita da tutto quello che scrivono con le bombolette sui muri che fiancheggiano i gradini.>> "L'espatriata" << che, all'ora di pranzo, corre svelta sulla scalinata sarà operata il giorno dopo. (...) Avrebbe preferito tornate nella sua città natale, (...) ma sarebbe troppo difficile da organizzare.>> "La ragazza", <<che scende la scalinata alle due di pomeriggio è circondata da tante altre ragazze. (...) Solo che questa ragazza non mette come le altre le minigonne che sembrano paralumi morbidi.(...) Ogni giorno, per due minuti o tre, (...) si fonde a loro insaputa all'organismo collettivo, alle braccia, alle gambe lisce e scoperte, ai capelli sciolti, e immagina temporaneamente di essere una di loro.>> I "due fratelli", che si siedono sulla scalinata verso il tramonto a bere una birra, scoprono che il padre va a vivere con un amico e dell'infanzia non resta che un nostalgico ricordo. "Lo sceneggiatore", che abita in un palazzo a ridosso della scalinata, e che solo d'estate (la moglie al mare) vaga per la Roma meravigliosa di Pasolini, finisce aggredito sui gradini della scalinata. Come si pone la scrittrice, che vive tra l'America e l'Italia, rispetto a questi esiliati e a una Roma lucente ma repulsiva, dove tutti si sentono stranieri? Come Manto, la "vergine cruda", cantata da Dante nel canto Ventesimo dell'Inferno, la scrittrice è condannata a "fecer malie con erbe e con imago" (verso 123 del Canto), non per profetizzare il futuro ma per restare imprigionata nella rimembranza, come gli indovini di Dante che camminano con la testa voltata all'indietro. Nel racconto finale, "Dante Alighieri" (titolo evocativo dell'amore per la nostra lingua), esce allo scoperto l'io della narratrice. Mentre l'aereo scende verso Fiumicino, la scrittrice rivede la sua vita come dall'alto, torna con la mente alla letterina ingenua e disperata del suo primo innamorato, che sulla busta scrisse "Dante Alighieri", forse a indicare che lei era la sua Beatrice. Perché, pensa la scrittrice, riaffiorano i ricordi, proprio quando <<la pelle si è assottigliata>>? E perché proprio a Roma, << oramai piena di cose rotte, sbagliate, piagate, buttate, defunte, ma non ce la faccio a recidere i fili>>?
Jhumpa Lahiri è una grande scrittrice angla bengalese (in questo sito si può leggere "The Nickname"); ha curato una interessante e ampia antologia di racconti italiani, che spaziano da Verga a Tabucchi (si veda la recensione di "Racconti italiani" in questo sito). Proprio dalla scelta dei racconti e degli autori, spesso non menzionati nei manuali scolastici, emerge l'attenzione dell'autrice per i "diversi" e per la "fantasticheria". E' un tratto che si ritrova pure nei "Racconti romani", che raccoglie e riordina molti scritti già pubblicati in riviste. Dapprima la scrittura di Lahiri è timida e talvolta incerta, poi diviene sempre più sicura, con una sintassi articolata e una ricca aggettivazione: uno stile che nasce senza dubbio dalla lettura attenta dei nostri classici, in particolare di Dante. D'altra parte pure in inglese Lahiri non è un'autrice essenziale e minimalista, ama invece l'eleganza e la ricerca delle parole, forse pure per questo si è innamorata della nostra lingua.
Perché leggerlo? intenso e piacevole.