Tra i migliori che ho letto!
e lo rileggerei volentieri

I figli e i padri

scritto da Onofri Sandro
  • Pubblicato nel 2008
  • Edito da Baraldi Castoldi Dalai
  • 423 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 08 febbraio 2009

Il libro è composto da tre romanzi, che coprono tutti gli anni ’90: Luce del nord del 1991, Colpa di nessuno del 1995 e L’amico d’infanzia del 1999, concluso solo alcuni mesi prima della morte dell’autore.
Tutti i tre romanzi ruotano intorno ad un protagonista maschile, in un contesto che è quello della piccola borghesia romana e di una Roma in profonda trasformazione.
In Luce del Nord, Angelo vive da tempo a New York, lontano dalla sua famiglia, dal fratello e dalla madre.
Un giorno riceve una lettera dal fratello, Ferruccio, che gli racconta di uno strano sogno: è gravemente ferito e Angelo lo invita a scappare, a fuggire, come se avesse corso un grave pericolo.
Alcuni giorni dopo il sogno, viene a sapere che il fratello è morto.
Decide quindi di tornare a Roma, ma finge di essere un amico di Angelo, Cesare.
Il romanzo si sviluppa su questa finzione, che permette ad Angelo di entrare nella vita del fratello, di cogliere tutto lo squallore della sua vita, tra privazioni economiche, delusioni professionali e tradimenti coniugali.
Diventa anzi l’amante della moglie di Ferruccio, che disprezza Angelo ma impara ad amare Cesare.
Angelo ritrova anche il rapporto con il padre e si affeziona al figlio del fratello.
La storia sembra evolversi verso un lieto fine, quando Angelo decide nuovamente di fuggire e di ritornare negli Stati Uniti, dove, per farsi accogliere, ricomincia ad inventare altre storie.
E’ il romanzo della continua fuga, nella quale l’America costituisce un sogno di libertà e di individualismo.
In Colpa di Nessuno, forse il romanzo più sociale dei tre, il punto di attacco è la necessità del protagonista, uno squallido venditore a porta a porta di contratti di assicurazione, di riprendere le fila della propria vita: “ è arrivato il momento di staccare le stelle filanti, raccogliere i nastri finti e le mascherine, e gettare tutto nel cesto delle feste passate”.
Paolo, il protagonista, conosce negli Stati Uniti Laura e, una volta che la donna è rimasta incinta, si sposano e ritornano insieme in Italia.
Per lavorare Paolo accetta un impiego di venditore presso Italo, suo suocero.
Entra in tal modo nella famiglia della moglie, composta dalla suocera Ida, donna avida e triste, dalla sorella di Laura, Silvana e da suo marito, Daniele, un uomo violento e di destra.
Paolo conduce una vita squallida, nella quale il suo matrimonio va progressivamente a rotoli, al punto, che un giorno, si accorge che la moglie lo tradisce.
L’accettazione di valori fatui, rozzi e volgari provoca una progressiva decadenza di Paolo, che viene più volte sottolineata dal padre, un uomo di un’altra generazione.
Non c’è un vero conflitto tra figlio e padre, come sembrerebbe dalla titolo dato a questa raccolta di romanzi; i conflitti, politici, sociali e intergenerazionali sono scomparsi per essere sostituti dalla rassegnazione e dall’individualismo.
In realtà tutti i personaggi subiscono, in qualche modo, la crisi della società italiana degli anni’90 ed è proprio il tema della decadenza dei rapporti e dei valori che sembra caratterizzare il romanzo.
Un vecchio, che incontra, lo invita a stare sempre da solo.
“ Già adesso l’amicizia e la solidarietà si chiamano complicità ed omertà.
Non ti fidare mai, non cedere.
Non è più tempo di stare insieme.
Non devi mai dovere dire noi, sarebbe già un segno di cedimento” E poi l’autore inserisce una nota autobiografica di grande suggestione “ Quando ero piccolo, credevo che il mondo fosse una specie di giostra fatta apposta per divertirmi.
Ma ora in quale bocca di drago mi sono andato a cacciare, che razza di figure sono quelle che mi trovo davanti, che non mi divertono più, mostriciattoli da quattro soldi, capaci di tutto e di niente ? “.
Un delitto, l’assassinio di Italo, del quale tutti credono che sia colpevole Paolo, diviene l’elemento catartico che apre gli occhi al protagonista.
Paolo si rende conto dell’aridità e dello squallore della sua vita, di questa famiglia acquisita, che si trascina avidità e violenza, nonché della malvagia della moglie, Laura.
Il romanzo si conclude con un grido di disperazione e di odio.
“ Se penso al futuro, Laura, me lo immagino come una grande piazza, affollatissima, in cui la gente urla e ride.
Ci saranno uomini e donne venuti da tutte le parti del mondo, con abiti comprati a New York, a Roma, a Sarajevo, a Gerusalemme, e a Mogadiscio.
Gente di tutte le razze e di tutte le provenienze, che si incrocia e si contamina di storia.
Ognuno con la storia dell’altro, infettato di mondo.
Solo noi due non ci saremo, Laura.
Noi, coi nostri sentimenti aggrovigliati, non siamo stati capaci di dare nulla al presente, e dunque figuriamoci al futuro.
Siamo due sputazzi del passato arrivati chissà come fino a qui.
Ma nostro figlio sì, lui ci sarà.
Io spero che attraversi per intero tutta la piazza, e che un boato carico di odio lo accompagni sempre e non lo abbandoni mai, che si nutra e cresca di tutta la perfidia.
Lo lascerò a corroderli con i loro stessi denti”.
L’amico di infanzia è il romanzo più intenso e profondo dei tre, quasi premonitore della vicina morte.
La storia di Fausto è raccontata dall’amico giornalista.
E’ la storia di un fallimento.
I due sono stati amici sin dall’infanzia in un quartiere alla periferia di Roma e poi si sono allontanati: Fausto ha cominciato a vivere di tanti lavori sino a finire a fare il venditore di immobili per una società che acquista a basso prezzo proprietà pubbliche per poi venderle a prezzi più elevati, cacciando gli inquilini.
E’ un lavoro squallido che Fausto ha accettato per recuperare dei soldi così da inviare il figlio, che vive lontano con la madre a Milano, a studiare all’estero.
La vicenda si sviluppa tragicamente, in quanto Fausto, in un momento di rabbia, uccide a bastonate il suo principale che non gli voleva concedere un prestito.
Ne deriva una discesa di Fausto agli inferi, vive come un barbone, inseguito dalla polizia, ma proprio nel momento della massima disperazione trova tra i disperati solidarietà e aiuto.
Alla fine, in un momento di lucida follia, fa esplodere gli uffici della società immobiliare e ne rimane mortalmente ferito.
La storia di Fausto travolge anche l’amico, che si trova svuotato di energie.
L’amico narratore riconosce che “ non c’era la miseria di un seme nel gran tornado che ha sconvolto le nostre vite” e quindi è rimasta soltanto una grande miseria e un estremo dolore esistenziale.
Il romanzo termina con una profonda riflessione sulla vita e sulla morte.
Dinanzi alla morte di Fausto, il narratore rimane sconcertato al pensiero “ che in realtà ci piacciamo e ci odiamo solo in base alla contingenza di un momento” e chiude il romanzo con questa strofa: “ ma eravamo nati per esserci/ e per un po’ ci siamo riusciti / e è questo che le nostre asciutte / bocche adesso vogliono cantare.
Le recensioni sottolineano soprattutto i connotati sociali dei tre romanzi: gli anni’90, il degrado urbano e culturale dell’Italia.
In realtà, a me sembra che i tre romanzi ( e soprattutto l’ultimo) ruotino intorno alla disperazione esistenziale e alla ricerca, spesso disillusa, di una speranza.
L’ambiente stesso dell’ultimo romanzo, il degrado della periferia romana, scivola pian piano verso un contesto surreale nel quale tutto è possibile, anche le cose più incredibili: un elefante che passeggia per le strade di Roma, una cornacchia che colonizza la città per cibarsi, un bambino che impara a giocare a pallone in uno stadio deserto, una nuova vita, rappresentata dal figlio di cui è in attesa Elena, il grande amore di Fausto, la solidarietà della stessa moglie della vittima, il preside che si è fatto eremita nella periferia romana, sono tutti fatti che dimostrano che nel sottosuolo della vita urbana esistono ancora energie positive che possono cambiare una situazione così degradata.

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