Come hanno notato le curatrici, Alda ed Elena Croce, la letteratura meridionale è fortemente influenzata dai grandi autori francesi, come Zola, Flaubert e Maupassant: attenzione, quindi, alle situazioni sociali, con un accento peculiare tuttavia, un misto di favolistica ironica e fiabesca e di toni melodrammatici.
La rassegna è limitata a 10 scrittori, alcuni dei quali noti, come Capuana, Serao e De Roberto; non è chiaro quanto sia rappresentativa, ma in essa è possibile selezionare due scritti singolari.
Salvatore Di Giacomo è un prolifico scrittore napoletano, giornalista, poeta e studioso.
Predilige gli spettacoli tragici, i miscugli di ferocia e di bontà, i suoi personaggi sono meretrici, camorristi e pezzenti, i suoi ambienti sono vicoli sudici e pittoreschi.
Il racconto "La Taglia" dà un efficace ritratto di una vicenda drammatica e dimenticata della nostra storia: il grande brigantaggio tra il 1860 e il 1870.
Siamo in un "paesello sconsolato" sul quale gravitava "un silenzio di morte": oggi il saccheggio della casa del sindaco, ieri una orecchia tagliata per avere un riscatto, poi un mandriano arrostito sulla legna come un montone; un orrore al quale i soldati reagiscono, "senza romore di giudizio, senzʼavvocati e tribunali.
Laggiù, dietro la chiesuola, li fucilarono sullo sterrato".
Mariangela è colta dai dolori del parto, è circondata solo dai figli perché il marito è andato a catturare un feroce bandito sul quale è stata messa una taglia; è il disperato tentativo di un poveraccio per sfuggire alla miseria.
"Il marmocchio era arrivato sotto lʼuscio a carponi.
(...) Lʼaltro, il rosso, lo afferrò alle spalle e se lo rovesciò sul petto.
Il bimbo nudo strillava, impazientendo, con le manine che volevano difendersi.(..) Il sole di luglio irrompeva lì dentro con una vampa che ardeva la carne e toglieva il respiro;(...) la chioccia beccava fra i chicchi sparsi, (...) un cagnuolo puntava le zampe sullʼorlo dellʼorciolo e vi allungava il muso sporco, (...) fuori un silenzio pesante..."La donna ha le doglie, il bambino più grande, il rosso, corre spaventato a cercare il padre.
Mentre si inoltra nella boscaglia trova una lucertola, che mette in saccoccia.
Chiama disperatamente il padre, poi lo vede: "lʼammazzato si vedeva poco in faccia, (...) le mosche gli correvano attorno a frotte, (...) una mano spuntava, tutta pesta e sanguinosa, aperta.
(...) Tata ! Tata !, chiamava il piccino, Tata, mamma chiange e ti voʼ!...Oi , tata !" Sʼimpazientì.
Si stese a boccone sul muricciuolo, mise fuori la lucertola, le attaccò uno spago al mozzicone di coda sanguinante e la fece camminare, rattenendola con improvvise strappate, gridandole dietro: Ah, Ah!...
Isce !..." Vittorio Imbriani, anche lui napoletano, è stato professore universitario, patriota e combattente, ma anche scrittore fantasioso ed attento alla letteratura popolare.
Ne è una testimonianza il racconto "Le tre Maruzze", una vera e propria rarità, in quanto fu pubblicata in soli ventotto esemplari nel 1875.
In napoletano "maruzza" è la lumaca, nella storia questi animaletti sono i custodi di tre orti preziosi: un roseto, un meraviglioso campo di granturco e un aranceto.
Don Peppino, un giovane contadino, salva tre luride bestiole (la biscia, la lucertola e la zoccola), in realtà tre fate, le quali, come canta il Parini, fan "beate gli amanti e a un volger dʼocchio mescere a voglia lor la terra e il mare".
E infatti il bravʼuomo diviene il giardiniere del Re, il quale lo tiene in gran conto perché Don Peppino è sincero e fedele.
Un giorno, la Regina e le altre Altezze Reali, indispettite ed ingelosite dal sentirsi ripetere sempre che Don Peppino era lʼunico che non mentiva, proposero al Re una scommessa: tentare in tutti i modi il giardiniere e se Peppino avesse "spifferato" una bugia, sarebbe caduta la testa del Re, in caso contrario quella delle Altezze Reali.
Don Peppino resiste alle proposte dei principi, ma quando la Regina si offre in cambio di una rosa,come canta Girolamo Fontanella, "lo sdolcinato verseggiatore, "sul felice amator cade e congiunge seno a sen, bocca a bocca e core a core".
Ed ora come fare ? Dire una bugia significa incorrere nelle ire del Sovrano, dire la verità comporterà che sarà il Re a perdere la testa.
Ciò che soprattutto pesa in Don Peppino è il dolore delle tre fate (ora nella forma di una vanga, zappa e badile), perché lʼuomo non ha saputo resistere e "domani dirà la bugiuzza".
Ma alla domanda del Sovrano: "che fan le mie maruzze ?" Don Peppino risponde: "Bocca di Verità Bugia non vi dirà, la moglie vostra a domandarne venne; mʼoffrì quel chʼio chiedessi e tre ne ottenne.
In prezzo della prima io la baciai; (...) Vanga, zappa e badil che tutto sanno, comʼio vʼho detto il ver vi attesteranno".
Che morale trarre da questa fiaba ? Mentre i potenti si dilettano in giochi inutili, in stupide scommesse, il povero agisce saggiamente, anche se pure lui si è lasciato ingannare.
Sarà vero ? "...Cuccurucù...".
Ho scelto solo due racconti, perché gli altri non aggiungono molto alla letteratura ed anche alla narrazione del nostro Mezzogiorno.
Giornalismo, fantastico e melodramma si mescolano insieme, dandoci una visione languida e pessimista del Sud.
Lʼunico racconto di grande forza è quello di Federico De Roberto ("La Paura") ambientato in una trincea della prima guerra mondiale e che parla della morte annunciata; alcuni soldati devono andare in un avamposto pur sapendo che moriranno di certo.
È la morte, "acquattata, vigile, pronta a balzare e a ghermire; se bisogna andarle incontro, fissandola negli occhi, gli occhi si velano, le gambe si piegano, le vene si vuotano, tutte le fibre tremano, tutta la vita sfugge." È una pagina tragica ed estremamente attuale; ma siamo nel 1927, un altro mondo rispetto agli stanchi e ripetitivi racconti della fine dellʼOttocento.
Perché non leggerlo ? Niente di suggestivo e stimolante.