"Le mille e una notte" è un manoscritto arabo probabilmente risalente al califfato Abbaside, tra 750 e il 900 dopo Cristo: il contesto è il favoloso impero di Bagdad, esteso dal Nord Africa alla penisola araba sino all'Asia Centrale e all'India. La scoperta fu di Antoine Galland all'inizio del settecento e da allora il testo si diffuse in Occidente creando stupore e scandalo: nacque l'orientalismo. A causa delle tante versioni dell'opera va precisato che la recensione fa riferimento al testo stabilito sui manoscritti originali da René R. Khawan. Cominciamo con la "Tessitrice delle notti". Il re è stato tradito dalla moglie: un moro "le alzò in aria le gambe, le scivolò tra le cosce e la penetrò". Da quel momento il sovrano decide di prendere in sposa ogni notte una fanciulla e di ucciderla all'alba. La figlia del visir, Shahrazad, la quale "aveva letto libri e scritti di ogni genere", chiede al padre di combinare il matrimonio con il re, dicendo: "o mi innalzerò nella stima dei miei simili liberandoli dal pericolo che li minaccia, o morrò o perirò senza speranza di salvezza, condividendo la sorte di quelle che sono morte e perite prima di me". Il padre cerca di dissuaderla con storie che invitano ad una vita prudente e schiva, ma la figlia, testarda e sicura di sé, gli risponde che potrebbe presentargli altre storie che portano a conclusioni diverse. Ed ecco il fulcro di "Le mille e una notte": la parola. Con l'invenzione letteraria, l'affabulazione e la poesia si possono affrontare le situazioni più difficili, vincere gli spiriti maligni e, persino, volgere a proprio favore la volontà di Dio. Secondo l'interpretazione generalmente condivisa, in realtà non confermata dalla struttura dell'opera, ogni notte Shahrazad narra una storia al re: affascinato, il sovrano tiene in vita la ragazza per il desiderio di sentire un altro racconto sino a farne la sua sposa per tutta la vita. Miracolo della parola! L'opera ha un modello ripetitivo: c'è un racconto di base all'interno del quale si sviluppano altre storie, tutte finalizzate a convincere e meravigliare l'interlocutore. La narrazione in prosa è intercalata da poesie secondo uno stile tipico della civiltà Abbaside. Conviene lasciarsi avvincere, pur tuttavia è possibile ritrovare alcuni filoni comuni. Nel celeberrimo "Il pescatore e il Jinn" il tema è l'astuzia. Un pescatore libera un diavolo imprigionato per secoli dentro un vaso nel fondo del mare. Una volta fuori, il Jinn vuole uccidere il pover'uomo. Il pescatore fa leva sulla vanità del diavolo sfidandolo a mostrargli come può stare chiuso in un piccolo vaso; è un raggiro per imprigionare nuovamente il Jinn. Alle implorazioni e alle promesse di quest'ultimo il pescatore gli risponde con racconti che mostrano la saggezza della poesia: "avrebbero potuto mantenersi giusti e puri,/ma hanno abusato del loro potere/ e il mondo a sua volta li ha oppressi/(...) eccoli restituiti al loro squallore..." Vorremmo lasciarci sprofondare nel fascino delle storie del "pescatore e il Jinn" (secondo il verso " se ritorni, noi torneremo"), ma dobbiamo correre ad illustrare l'altro magnificente racconto: "Il facchino e le dame". Qui il tema è la clemenza, a sua volta frutto dell'amore. Un facchino si ritrova nella casa di tre dame, sono di una bellezza perfetta, che fa dire al poeta." inviolata...quand'io la supplico concedermi/l'amplesso. Bellezza le consiglia/di mostrarsi generosa,/ ma Civetteria le proibisce di accettare". Arrivano tre mendicanti con un occhio solo e poi persino il sultano con il visir. Ha luogo un convivio nel quale gli ospiti sono legati da un giuramento: "tutto che ci vedrai fare, tutto ciò che osserverai intorno a noi...non cercare di capirne la ragione". Troppo, però, è la stranezza di ciò che vedono da non indurre gli ospiti a fare domande. Compaiono dieci mori pronti a tagliare la testa degli incauti, che non hanno mantenuto l'impegno preso. Per placare l'ira delle tre dame i mendicanti raccontano la loro storia e chiedono clemenza: sarà data a tutti gli ospiti tanta sono la meraviglia dei racconti e il piacere che ne hanno ricavato le tre magnifiche fanciulle! Come si può punire quando si canta l'amore ? "La donna prese l'arma e avanzò finché non fu di fronte a me. (...) La guardai a lungo. (...) Le sue guance espressero allora i sentimenti che occupavano la sua anima, e mi tornarono alla mente i versi del poeta: se tace la mia bocca, parlano i miei sguardi/che ti diranno quel che non posso dire,/perché l'amore rende manifesti/i sentimenti in me celati.(...)/l'uno è scrittore di genio, benché la sua retorica sia solo debitrice al gioco delle palpebre;/l'altro è non meno fine letterato/benché solo con l'occhio si esprima". Capiamo da questi versi come la parola ammaliatrice sia frutto anche della recitazione orale e gestuale, il tutto in dolce compagnia dove ci sono una musica gradevole, un profumo soave e la felicità dell'amplesso, perfetta "solo se fornita di questi quattro elementi/bella età, vino,/un corpo amato, delle monete d'oro..."
Si possono indagare i tanti temi sottostanti all'opera, da quelli filosofici alla rappresentazione di una società che aveva al centro la bellezza, l'arte, la ricchezza, il soprannaturale e la magia, in un clima generale di violenza e di sopruso da parte del sovrano. Non poniamoci troppe domande; perdiamoci nei racconti, nelle loro trame sbalorditive, nei fatti e nei personaggi incredibili, frutto di una fantasia rigogliosa e incontenibile; concediamoci il piacere dei tanti versi, ammaliatori e misteriosi come il seguente: "il giuramento che mi lega, l'ho prestato/per l'ebbrezza che suscita in me il battere/della sua palpebra, per la curva dei suoi fianchi, /per le frecce stregate che mi lancia/ (...)fuggiti sono i dolori come al sorgere radioso/del sole, lasciando perplessa la luna./L'astro del giorno era in anticipo?/Voleva forse già metterla in fuga?..."
Perché leggerlo ? Sbalorditivo, magnifico, affascinante, esplosione dell'immaginazione.