Se i racconti del primo volume (vedi recensione in questo sito), hanno un'impronta fiabesca, trasportandoci in un mondo popolato di spiriti e di magiche invenzioni, qui le novelle hanno un taglio realistico; la lettura è meno avvincente ma ne traiamo una rappresentazione della società abbaside, del potere del califfo e dei suoi emiri, degli intrighi della corte, della rassegnata ubbidienza dei sudditi. Nel racconto, "La forza dell'amore", l'infelice Ghanin è severamente punito per la falsa accusa di aver sedotto la favorita del califfo. La cieca gelosia spinge "l'emiro dei credenti" a perseguitare il giovane e la sua famiglia. Quando il califfo si ravvede del tremendo errore e chiede che cosa può fare per lui, Ghanin risponde che <<il servo non può rimproverare il padrone in alcun modo per come questo ha creduto bene di comportarsi con lui. (...) Il servitore resta il servitore, e il padrone resta il padrone>>; è la madre del giovane, coraggiosamente, a invitare il califfo a pensare a quanto sia fragile la natura umana, <<a quanto sia spesso incline all'inganno e alla simulazione. E pensa a come queste cattive disposizioni possano essere aggravate dalla gelosia, cui le donne sono fin troppo esposte>>. Non bisogna credere che siamo dinanzi a una sorta di "Decameron" arabo o a " le Anime morte" di Gogol in salsa medio orientale (vedi le recensioni in questo sito); anche nelle novelle di questo secondo volume la prosa è intrecciata alla poesia, i racconti s'incastrano l'uno dentro l'altro, predomina la bellezza degli uomini e delle donne, si fugge dalla realtà verso l'inverosimile. Ciò che raccontiamo è un'illusione? Nell'avvio del lunghissimo racconto, "I volti dell'amore", dove è descritto un mondo favoloso senza confini che ci rimanda a "The Enchantress of Florence" di Salman Rusdhie o a "Paradise" di Abdulrazak Gurnah (vedi recensioni in questo sito), la bellezza del giovane principe è tratteggiata con versi intrisi di narcisistico desiderio: <<E' il cerbiatto della gazzella dal passo esitante!/Basta che prenda per mano uno specchio:/fedele e adulatore, rifletterà/l'idea assoluta di bellezza che il suo sogno vi proietta>>. Le novelle più belle sono quelle che hanno come protagonista il califfo Harun al Rashid (regnato tra il 766 e l'809). Pare che questo sovrano fosse <<ghiotto di aneddoti, di fatti di cronaca e di pettegolezzi>>; per cui travestito da semplice cittadino andava a scoprire come viveva la gente comune e a compiere scherzi alle loro spalle. Ben noiosa doveva essere la vita nei palazzi di Bagdad! In "Il dormiente che non dorme", il califfo, fingendosi un mercante, si introduce nella casa dell'onesto Hasan, dopo averlo ubriacato, gli fa bere un potente sonnifero; portato nel palazzo Hasan vive una notte da califfo, credendo che sia la realtà: è preso per pazzo ed è rinchiuso in manicomio. Quando ne esce continua a vivere non sapendo più se sta in un sogno o nella realtà. <<Perché hai instillato la confusione nella mia mente, perché mi hai messo sottosopra il cervello?>>. E "il successore del profeta" risponde candidamente che lo fa per diletto. Nella novella "Il califfo e il pazzo" al Rashid vuole capire se una persona rinchiusa in manicomio sia veramente un pazzo; ne scaturiscono una serie di racconti, a incastro, in un'atmosfera pirandelliana, in cui l'arguzia del gran visir, personaggio sempre presente in "Le mille e una notte", mette alla prova il povero demente; si scoprirà poi che più di arguzia bisogna parlare d'inganno, perché il gran visir voleva impedire il matrimonio tra la figlia e il presunto pazzo. Lasciamo al lettore scoprire la trama di "Il saggio persiano". Qui ci limitiamo a dire che un bellissimo "rosticciere", <<egli è lo stallone/di ogni grazia>>, riesce a conquistare la splendida principessa per merito di un infuso d'amore del sapiente mago. Appaghiamoci di questi versi deliziosamente erotici: <<Stretti fianco a fianco, coi miei occhi/li ho visti, mi sarebbe piaciuto/vederli dormire insieme/sulle mie stesse palpebre./Erano due gazzelle del deserto,/e due stelle fulgenti nella notte,/due astri mattinieri, ramoscelli perfetti,/e due incarnazioni della diva Bellezza>>.
René R. Khawan, il curatore di questa edizione di "Le mille e una notte", ha ritenuto, dopo lunghe ricerche, che i due libri di questo secondo volume, "Passioni vagabonde" e "Il gusto dei giorni", completino quelli più noti riportati nel primo volume: "Illustri dame e galanti servitori" e "Cuori disumani". Ovviamente non sono in grado di discutere le scelte del curatore, tra l'altro su una problematica estremamente scivolosa per la difficoltà di mettere ordine in questa importante testimonianza della poesia araba del Califfato di Bagdad. E' difficile pensare che siamo dinanzi ad una successione di racconti notturni, sia per la lunghezza delle novelle che per il loro impianto così realistico; anche la poesia perde di peso rispetto alla prosa e la narrazione non ha più quel ritmo serrato delle novelle riportate nel primo volume. Si percepisce una certa stanchezza, un non so che di formalistico e ripetitivo, come se la decadenza politica e militare del grande impero si rifletta nel suo canto, nostalgico e disperato. Mentre nelle novelle del primo volume c'è sempre una conclusione che proietta a un futuro felice, qui ogni novella finisce con un richiamo alla Morte, a <<Colei che distrugge i piaceri e disperde le adunanze, (...) Possa Dio esserci benigno nel giorno di quell'appuntamento>>.
Perché leggerlo? A tratti è prolisso, si fa fatica ma vale la pena.