Sconsiglio vivamente
e non lo rileggerei

Non avevo capito niente

scritto da De Silva Diego
  • Pubblicato nel 2007
  • Edito da Einaudi
  • 309 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 04 maggio 2008

Un avvocato di scarso successo e squattrinato partecipa, quasi da spettatore e senza rendersene conto, a una serie di vicende, sentimentali e lavorative, che lo coinvolgono pesantemente.
Continua la relazione con l’ex moglie, diviene l’oggetto dell’amore di una brillante e bellissima avvocatessa, viene a sapere, senza reagire, che il figlio frequenta "cattive compagnie" ed è incline all’omosessualità, diviene il difensore di un noto pregiudicato della camorra, ottiene una serie di successi processuali, per lui inattesi, in quanto referente della camorra, scopre alla fine che non aveva capito di essere stato lo strumento, in mano alla magistratura, per incastrare il suo difeso.
Il narrante è l’avvocato stesso, il cui nome, Malinconico, ne sintetizza bene la personalità: una tristezza di base, che tuttavia si accompagna a una forte auto ironia e a una filosofia della vita che gli permette di accettare il mondo così com’è.
In un colloquio con l’amante, quest’ultima gli rinfaccia che lui non sa perché fa le cose: "il che è verissimo, anche se non ci trovo niente di strano.
Siccome però non ho il coraggio di dirlo, ma allo stesso tempo non ho alcuna idea originale, al momento, pesco fra le informazioni più recenti.
No, è che non mi vedo mentre le faccio.
Come? Che le cose le capisco solo quando le ho fatte".
Per l’autore, la vita è un rotolarsi di avvenimenti sui quali non si può incidere e tutti si muovono come fossero ripresi da una cinepresa, comportandosi in modo falso e non autentico.
La stessa camorra è una realtà che si deve accettare per quella che è e di cui si possono apprezzare certi aspetti del suo codice di comportamento: ciò che sarebbe opportuno è "una camorra sostenibile".
Il romanzo si apprezza di più per le digressioni dell’autore, spesso felici e puntuali, sulla vita di oggi.
Come dice lo stesso autore: "il fatto è che io sono un narratore incoerente.
Mi interessano troppo le chiacchiere incidentali che ti portano da un’altra parte.
Quando racconto sono come uno che cerca una bolletta nel cassetto delle ricevute.
Prima tasto un poʼ, tanto per prendere confidenza con il materiale organico, poi pesco a casaccio, sperando di prenderci".
La trama è tuttavia fragile senza un reale ritmo narrativo, affidata, com’è, più a dei bozzetti, sempre incompleti, che a una struttura minimamente organica del racconto.
La frammentazione dominante, la vacuità narcisistica delle situazioni, l’inverosimiglianza dei comportamenti e degli ambienti (per esempio, il locale dove l’avvocato ha lo studio, la benevolenza curiosa della camorra nei suoi confronti) non sono sufficientemente compensati dallo stile, senza dubbio elegante e agile, e dalla leggerezza ironica dello scrivere.
Alla fine, il romanzo risulta noioso, poco pregnante e irritante per il modo, troppo superficiale e rassegnato, con il quale viene affrontato il tema della camorra.
È un romanzo specchio della nostra Italia: rassegnata, richiusa nella dimensione amicale e familiare, pronta a cogliere le opportunità così come si presentano.

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