L’ambiente è sempre la Sicilia e l’oggetto è il delitto mafioso.
Un tenente dei carabinieri di Parma, ma di servizio sull’isola, si trova ad indagare sull’omicidio di un piccolo imprenditore edile, al quale si aggiungeranno gli assassini di un contadino, di mestiere potatore, che aveva riconosciuto l’omicida e di un confidente della polizia, che aveva indicato i nomi dei mandanti.
Il tenente, scartata la pista sentimentale (la moglie del potatore aveva un’amante), riesce abilmente a ottenere la confessione dell’omicida e di chi gli aveva affidato l’incarico risalendo a un personaggio potente della mafia, rischiando di scoprire le connivenze con il mondo politico.
Potrebbero essere coinvolti un deputato e un ministro, che intervengono più volte per fermare le indagini.
Sarà poi la mafia a fornire "alibi eccellenti" ai tre indagati.
Il tenente, in vacanza a Parma, viene a sapere che l’assassino e i mandanti sono stati prosciolti e che è stata ripresa la pista sentimentale.
Dopo una cena con gli amici, il tenente "si sentiva come un convalescente: sensibilissimo, tenero, affamato".
"Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto".
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.Rincasò verso mezzanotte, attraversando tutta la città a piedi.
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.ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia e che ci sarebbe tornato.
"Mi ci romperò la testa" disse a voce alta.
L’autore sviluppa con sottile ironia una trama che sta tra il giallo, in certi momenti ricco di suspense, e il romanzo politico, che si focalizza sul tema dell’ambiguità del potere (bellissimi da questo punto di vista i colloqui tra il deputato e gli altri esponenti del mondo istituzionale, che il lettore non è messo in condizione di riconoscere) e della collusione, forse naturale, dei diversi livelli nei quali si articola il potere stesso.
Proprio perché il tema fondamentale è il potere, appare sinceramente fuori luogo una delle pagine più note del libro, quella in cui il capo mafioso illustra la sua visione della società al tenente (gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà), in quanto introduce aspetti folcloristici e una sociologia banale che abbassano lo spessore del libro, libro che non parla soltanto di Sicilia e di mafia, ma coglie l’occasione del delitto mafioso per una riflessione sul potere come forza oscura e inattaccabile.
È per questo che il romanzo è universale e supera il contesto storico e sociale.
Lo stile è brioso e brillante con un ritmo narrativo che presenta rare cadute di tensione (in particolare nei ricordati soliloqui del capo mafioso).
La struttura sintattica e la lingua sono semplici ma efficaci e affidano la funzione espressiva al ritmo narrativo e all’uso degli aggettivi e dei legami tra i periodi.
Sciascia è un riferimento fondamentale per la lingua italiana.