Dopo la separazione dalla moglie un modesto pittore di ritratti su commissione compie una peregrinazione per il Giappone. In un motel rischia di strangolare una ragazza, di cui non conosce neanche il nome. "Basta che fai finta, mi aveva detto lei. Ma sarei riuscito a cavarmela con così poco, ne ero sicuro?. (...) Perché obbediva a un mio impulso interiore...(...) Ecco cos'era a farmi veramente paura, nel profondo della mia coscienza". Come in altri romanzi dell'autore (si vedano in questo sito le recensioni di "Kafka sulla spiaggia" e "Norwegian Wood"), da un fatto traumatico, sul bordo del baratro, inizia un intricato viaggio nella coscienza, durante il quale la trama e i personaggi si dissolvono in un mondo onirico e metafisico. Questa volta al centro della riflessione abbiamo la funzione dell'arte, come un "segno implicito, segreto, incomprensibile", capace di farci "sgusciare attraverso lo stretto spiraglio che separa il nulla dalla realtà". Stanco di peregrinare, il protagonista trova rifugio nella casa di montagna del padre di un amico, il grande artista, Amada Tomohiko. La dimora è abbandonata perché il vecchio pittore è ricoverato in una struttura per anziani. In soffitta, il protagonista scopre un quadro, "L'assassinio del Commendatore", che raffigura un omicidio, riprendendo una scena del Don Giovanni di Mozart. Malgrado Tomohiko avesse adottato il tradizionale stile giapponese, apparentemente poco adatto ad esprimere forti emozioni, il quadro raffigura un duello cruento: un giovane uccide sanguinosamente un vecchio, il Commendatore, dinanzi agli sguardi attoniti di una dama in elegante abito bianco e di un rozzo e volgare individuo; da una botola emerge la testa di un misterioso testimone. Mi sono soffermato a illustrare questo dipinto in quanto è da questo che si diramano i diversi filoni narrativi del romanzo. E' come se ci trovassimo dinanzi ad una successione di metafore nelle quale i segni del dipinto, dalla scena sino agli spazi, si rappresentano nella trama e nei personaggi. Com'è abitudine in Haruki avvengono molti fatti inverosimili, indecifrabili e ricchi di simbolismo: tanti e tali che il lettore, e con lui il modesto pittore, si ritrova rinchiuso in una trappola di metafore. Come tornare alla realtà e trovare sé stessi? E' necessario che la scena del quadro prenda vita: dinanzi a Tomohiko, demente e nondimeno vigile, il protagonista uccide l'anziano commendatore, fugge per la botola, compie un viaggio in uno stretto cunicolo buio, viene aiutato dalla dama bianca del dipinto (la fata turchina o Beatrice?),si salva ed esce in una misteriosa buca presso un tempietto buddista. Un viaggio dantesco? Può darsi, ma la conclusione non è il Paradiso, è una prosaica vita da modesto pittore. Forse, il protagonista si è liberato dai propri sensi di colpa dando un equilibrio alla propria esistenza, anche se la vita è come "la fune di un funambolo".
L'estremamente lungo e confuso romanzo pare il testamento di un autore che non ha saputo trattenere sé stesso. C'è da chiedersi se Haruki avesse chiaro sin dall'inizio dove volesse andare a parare, o invece il mondo delle idee abbia preso il sopravvento e così i personaggi si sono evoluti senza mai delinearsi veramente, restando in sospeso, mentre le vicende si accavallavano così come venivano nella mente dell'autore, senza un senso o una direzione di marcia. Durante la narrazione lo stile è sempre rimasto preciso e dettagliato, quasi che l'autore abbia voluto fare la cronaca di ciò che di reale ha ben poco: romanzo di stampo ottocentesco di una visione onirica. Questa contraddizione emerge evidente nel modo con il quale l'autore descrive il lavoro del pittore protagonista: meticoloso, attento, quasi fotografico e tuttavia tutte le opere restano incompiute e proprio nella loro inconcludenza sta il fascino. Accompagna il racconto il suono di opere di lirica e di musica classica; una circostanza paradossale se si pensa quanto questo tipo di musica sia ordinata e razionale, e quindi non certamente congeniale ad una mente confusa, quale quella dell'autore.
Perché non leggerlo? E' lunghissimo e noioso.