Gradimento Medio
e non lo rileggerei

La linea del colore

scritto da Scego Igiaba
  • Pubblicato nel 2020
  • Edito da -Bompiani
  • 369 pagine
  • Letto in Italiano
  • Finito di leggere il 10 maggio 2020
Il romanzo fa parte di una trilogia, che comprende altri due libri: "Oltre Babilonia" del 2008 e "Adua" del 2015 (le recensioni sono disponibili in questo sito). Ed infatti ritroviamo lo stesso tema: la donna nera vive in un mondo di violenza e di soprusi, perché donna e perché nera. Riprendendo lo schema narrativo di "Adua" l'autrice porta avanti due storie parallele: quella di Lafanu Brown, pittrice afroamericana vissuta nella seconda metà dell'ottocento nella Roma papalina, città morbida, accogliente e lazzarona, e quella di Leila, italiana di origine somala, la quale vive nella Roma di oggi, ammaliante, decadente e cattiva.  Sono epoche distanti, ma con un comune punto di partenza: la Fontana dei Quattro Mori di Marino, riportata nella galleria fotografica di Rino Bianchi in appendice al libro, galleria di grande suggestione e fondamentale per interpretare l'intero racconto. Così scrive Lafanu, "quelle donne, quelle mie antenate, perché noi discendiamo dalle sofferenze degli schiavi, vogliono che qualcuno dia loro voce. Oh Lizzie cara, lo vedo quanto si sforzano di protendersi verso di noi". Leila è insieme con un'amica a Marino dinanzi alla Fontana. L'amica, ragazza intelligente, aperta al mondo e studentessa di arabo, le dice ridendo: "hai visto che roba? (...) Non la trovi bellissima? (...) Anche lei, nonostante il suo bagaglio di conoscenze, era cieca al dolore di quei quattro prigionieri dalla pelle nera. Forse non si era nemmeno accorta che erano neri".  Le due storie, di Lafanu e di Leila, si sviluppano con ritmi differenti e diverso stile narrativo: all'origine c'è sempre la violenza. Lafanu è stata stuprata da ragazza nell'abolizionista città americana di Coberlin, nel 1859. Studentessa modello frequentava un collegio che si faceva vanto di avere alunni di colore. Una sera, Lafanu pretese di andare a teatro, con un elegante vestito ricco di colori. "Ogni colore le fu cancellato di dosso. Le rimasero una vaga traccia di madreperla negli occhi spaventati e il nero della sua pelle d'ebano. Il nero non la voleva abbandonare. Non ti lascerò mai, le prometteva". Dove sopravvivere ? In un luogo dove c'è l'incontro tra il colore e la superficie. Lafanu diventa una pittrice, la ricerca del bello come ancora di salvezza la porta in Italia, a Roma. Conquista faticosamente il suo posto come artista, incantata del barocco e del classicismo italiano. La perseguono gli incubi.  E' affascinata da un dipinto di Lorenzo Lotto, "Santa Lucia davanti al giudice", dove in un angolo del quadro una servetta negra trattiene un bimbo capriccioso. Lefanu dedica schizzi su schizzi a questo quadro. "Cancella tutto ciò che lei considera superfluo. Scompare tutto, scompare persino il bambino, rimane solo la ragazza nera con la sua ansia. Una scena che Lafanu trasforma nella sua ossessione. Nell'indagine di uno spavento". Come se il bello potesse liberarci dalla violenza, è un'illusione!. Pure Leila è nera e nel contempo sradicata dalla Somalia: "esule di una terra che in fondo non è mai stata la mia". Se si è neri è difficile sfuggire alla violenza. Binti, cugina di Leila, nel tentativo di venire in Italia si ritrova nel girone infernale dei trafficanti, che la stuprano, così come facevano i loro compari bianchi con i negri nei terribili viaggi in mare verso l'America. Ed ora, Binti "urla in silenzio. E' uno spettacolo angosciante, la bocca si spalanca, gli occhi si dilatano, ti aspetti un urlo....ma dalle sue labbra non esce niente". Forse la salvezza potrebbe essere l'incontro tra il colore e la superficie.  "Presi un respiro, mi feci forza e mi avvicinai a mia cugina. (...) Smise di disegnare. Quasi ci rimasi secca dallo stupore. C'era una donna legata a un palo che stava spezzando le catene. Piangeva, e aveva in grembo un passaporto."

Lafanu è un personaggio inventato, sintesi di due donne nere realmente vissute a Roma: la prima ostetrica e attivista, la seconda scultrice. La mescolanza di realtà e di fantasia dà alla narrazione un ritmo sereno e suggestivo, come in un romanzo storico di evasione. Se tutto ciò fa perdere di drammaticità alla storia, stimola la curiosità del lettore senza creargli ansia: è chiaro che ci sara un lieto fine, anche se un po' malinconico e dolciastro. Leila è l'autrice e le vicende si sviluppano al giorno d'oggi. Certo c'è dell'immaginazione, ma la cruda realtà dell'emigrazione e del traffico di clandestini sovrasta l'intero racconto: esso scivola nella cronaca e nella denuncia. Le ferite alla nostra coscienza, peraltro ipocrita e pigra, sono troppo profonde perché possiamo trastullarci.

Come già avvenuto in "Adua", è veramente impegnativo portare avanti due filoni narrativi senza rendere il racconto prolisso e ridondante. La scrittura essenziale non aiuta a creare suggestioni e quindi non sorregge la storia di Leila, spesso di taglio giornalistico. Fortemente innovativo, anche se non sempre pienamente riuscito, è la commistione tra realtà, fantasia e arte figurativa.

Perché leggerlo?  E' un libro innovativo che sviluppa una storia drammatica


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