Il romanzo fa parte di una trilogia, un grande affresco della storia recente della Nigeria; è possibile leggere in questo sito la recensione del primo libro, "Things Fall Apart". "No longer at ease" è una citazione tratta da un verso del poema di Eliot ("il viaggio dei magi"), che così recita: "tornammo ai nostri luoghi, ai nostri regni/ ma ormai non più confidenti (no longer at ease), nelle antiche leggi/ fra un popolo estraneo che è rimasto aggrappato ai propri idoli/io sarei lieto di un'altra morte". Così come i tre Magi, tornati ai loro Palazzi, non sono più come prima, non possono più adattarsi ai vecchi costumi, così Obi, nipote di Okonkwo il protagonista di "Things Fall Apart", non riesce più a comprendere la Nigeria, apparentemente occidentalizzata ma sempre ancorata all'antica morale ancestrale. A spese dell' Umuofia Progressive Union, un'associazione che raggruppa i maggiorenti del villaggio natale di Obi e della sua famiglia, il ragazzo è stato mandato a studiare in Inghilterra; si è laureato in letteratura inglese, al suo ritorno è stato assunto in un ufficio del nascente Ministero dell'Istruzione (siamo negli anni' 50, poco prima dell'indipendenza). Deve restituire ottocento sterline ricevute dall'associazione; Obi chiede una dilazione e un ulteriore contributo, è inebriato dall'intensa vita di Lagos, brulicante di gente, una mescolanza di etnie e di lingue, protesa verso il futuro. Il ragazzo stesso crede fermamente nella nuova Nigeria, che emergerà dal colonialismo. Rifiuta con sdegno ogni offerta di denaro per favorire un candidato agli esami e ai concorsi. La città è piena di tentazioni, ad Obi piace anche il lusso (noleggia un auto con la quale va in giro), non tiene conto delle tasse e degli anticipi ricevuti. Sono tutti piccoli peccati, che gli verrebbero perdonati, se non fosse che Obi si innamora di Clara, una ragazza appartenente all'etnia "osu", considerata dagli igbo alla stregua di lebbrosi. Con molta ingenuità il ragazzo informa il padre della sua intenzione di sposare Clara. "Suo padre rise. Ed era il tipo di riso che talvolta si udiva da uno mascherato da spirito ancestrale. (...) Noi siamo cristiani, ma questa non è una ragione per sposare un "osu". (...) I nostri padri nella loro oscurità ed ignoranza chiamarono un uomo innocente "osu", una cosa data agli dei, e da allora egli divenne un emarginato, e i suoi figli, e i figli dei suoi figli per sempre". Obi è arrabbiato, ma è anche convinto che può convincere il padre, uomo in fondo buono e remissivo, cristiano sincero e devoto. In un secondo colloquio, dopo un lungo silenzio, il padre narra al figlio la storia di Ikemefuna. "Cominciò lentamente e in modo sommesso, così sommesso che era difficile udire le parole. Sembrava che non stesse realmente parlando ad Obi. Il viso era rivolto di lato così che Obi lo vedeva in un vago profilo". Ikemefuna fu ucciso da Okonkwo per rispettare le regole ancestrali, il padre di Obi abbandonò la famiglia e si fece cristiano, Okonkwo si impiccò per la vergogna. Che cosa voleva dire il padre raccontando al figlio questa tragedia? Chi abbandona il proprio "chi", dio, ruolo e destino, crea terribili conseguenze a sé e alla famiglia. Questo messaggio non è esplicito, ma è così che lo interpreta Obi. Come succede spesso nei romanzi di Adache, ai personaggi viene lasciata la libertà di scelta e quindi sono responsabili delle proprie azioni; infatti il racconto poteva essere anche un invito al figlio ad intraprendere con coraggio la propria strada, così come il padre aveva fatto diventando cristiano. Obi torna a Lagos, convinto che non può sposare Clara; ma la ragazza è incinta e quindi bisogna interrompere la gravidanza. Obi l'accompagna da un medico compiacente e ritorna in macchina. Quando li vede uscire per andare alla clinica, dove verrà effettuato l'aborto, "vorrebbe uscire dall'auto e gridare: Ferma ! Andiamo, sposiamoci ora, ma non ci riuscì e non lo fece. L'auto del dottore scivolò via. (...) Clara guardò nella direzione di Obi e immediatamente distolse gli occhi".Il ragazzo è un codardo: straccia con rabbia il manifesto della nuova Nigeria, ma è lui ad non aver combattuto fino in fondo per il futuro del proprio paese. E poiché come dice Stevenson, il male ha un suo fascino e richiama altro male, Obi inizia a farsi corrompere in modo spudorato, affascinato dalla pila di soldi contanti. Come dissero i vecchi di Umuofia, "vedi questa cosa chiamata sangue. Non c'è niente come il sangue. Questo è il motivo per cui quando tu pianti una patata essa produce un'altra patata, e se tu pianti un arancio esso produce arance. (...) Ma non ho mai ancora visto che un banano produca una patata". Su Obi incombe una maledizione: "è una strana e sorprendente cosa, ma posso dirti che l'ho visto prima. Lo fece suo padre".
Affascinati dal tono elegiaco di "Things Fall Apart", dalla forza della sua trama e dei suoi personaggi, si rimane un po' delusi da questo romanzo. Obi è un piccolo uomo, non ha niente della tragicità di Okinkwo, l'ambiente cittadino non evoca misteri come il precoloniale villaggio di Umuofia. Lo stile basato sui dialoghi, serrati e concisi, ci getta in una commedia "borghese", in una storia apparentemente piatta e banale. I personaggi sono tratteggiati, non approfonditi, in particolare la figura di Clara: serpeggia una sottile ironia insieme con una prevalente rassegnazione. Tutto sembra già scritto: la vicenda di Obi così come il futuro della Nigeria. Avevano ragione i vecchi di Umuofia, un banano non può produrre una patata ?
Perché leggerlo ? Non so per quale motivi leggendo il romanzo mi è venuta in mente l'Italia.