Con il titolo "La Rinascita" nel giugno 1944 esce il primo numero della rivista mensile del Partito Comunista.
LʼItalia non è ancora libera, è in corso la lotta partigiana e tuttavia fin dal primo numero la rivista dedica alcune pagine alla letteratura.
Ci sono componimenti poetici (di Umberto Saba e di Salvatore Quasimodo), testi di autori stranieri ed anche di scrittori italiani, da Alberto Moravia a Cesare Pavese.
Questo libro raccoglie alcuni di questi racconti, pubblicati dal 1945 al 1956, in una fase di accesa lotta politica e in pieno neorealismo.
Le storie sono impregnate di temi sociali, molte di esse parlano della Resistenza, con contributi di Renata Viganò, Italo Calvino, Marcello Venturi (narratore importante e dimenticato della lotta partigiana) e Mario Puccini, questʼultimo con un racconto commovente sulle apprensioni di un padre per un figlio impegnato in operazioni contro i tedeschi.
Ne ho scelto tre da recensire, non solo perché i migliori, a mio giudizio, ma anche perché rappresentativi del nostro Paese, dellʼItalia contadina e di un ceto medio urbano, che dal fascismo porterà con sé i segni indelebili della superficialità.
Francesco Jovine è autore di un romanzo, "Le Terre del Sacramento", che narra di un Meridione sempre condannato allo sfruttamento e sempre tradito dalla sua classe dirigente: uno scrittore della rassegnazione e della sconfitta.
Nel racconto "La morte del patriarca", pubblicato nel 1949, un nipote parla del nonno, giudice di pace di un villaggio del Sud e uomo di fiducia del principale proprietario terriero, il tipico latifondista meridionale.
Il nonno è un patriarca per la sua famiglia e lʼintera comunità: non approfitta dellʼassenteismo del proprietario per arricchirsi, ma anzi si erge a difensore dei contadini.
È un baluardo e una figura mitica.
"Nelle notti dʼestate girava per le strade illuminate dalla luna, insieme con i suoi compagni contadini e li incantava suonando dolcemente il flauto.
(...) Spesso quando egli era assente, i giovani erano accesi da improvvisi furori e mettevano mano alle accette.
Ma quando cʼera il nonno non accadeva nulla che non fosse placido e gentile; si sentivano volare quelle note di tortora in amore, accompagnate dal ronzio di calabrone di una chitarra battente, i vecchi contadini si destavano dal sonno e immaginavano i campi estivi carichi di spighe pesanti, e succose frutta bagnate dalla rugiada del mattino." Che ne sarà del villaggio dopo la morte del patriarca ? "Ad un tratto una vecchia dal fondo incominciò a piangere ad alta voce e a cantare il suo rammarico doloroso per la perdita imminente.
Diceva lenta con voce ritmata: tu te ne vai, nostro onore e nostra difesa, te ne vai spada brillante.
Senza di te, riprese una voce giovanile sullʼultima lassa del canto, non abbiamo più luce e giudizio." In "il mondo salvato a spalle", pubblicato nel 1951, Felice Chilanti narra della drammatica inondazione del Polesine e lo fa dandoci un bozzetto realistico e suggestivo della solidarietà contadina.
"Correte, gente, lʼacqua straripa lungo tutto lʼargine" Giovanni e suoi compagni contadini accorrono a chiamare a raccolta gli uomini e a salvare le donne e i bambini".
E grida il bottegaio del villaggio, " E tu Giovanni e tu Gabana e tu Tabanin, non siete già stati buttati in galera un anno fa per questi lavori ? Avete proprio voglia di salvare la terra e le vacche del Cané ?" Canè è il grande proprietario della zona, il cui fratello, lo zoppo, urla come un pazzo ai contadini che si danno da fare per salvare la famiglia e le masserizie dei Cané.
"Volete fare la rivoluzione disgraziati ! Venite a prendermi, Assaggerete i confetti della mia pistola....
(...) Giovanni e i suoi compagni portavano a spalle il mondo alla salvezza: il mondo intiero così comʼera, gli amici e i nemici, la società nella quale vivevano e lottavano; portavano in salvo lʼagrario e i suoi beni, il prete e le sue preghiere, il maresciallo dei carabinieri e le sue manette".
Il titolo del racconto di Libero Bigiaretti ("un altro destino" 1951) richiama Martin Eden di Jack London.
Due giovani fanno amicizia perché lavorano insieme in un cantiere: Renato è di estrazione operaia, intelligente, battagliero, capace di far "valere con chiarezza ed energia le proprie ragioni", Giulio viene da una famiglia borghese, insofferente, ha abbandonato la scuola e vorrebbe pubblicare le sue poesie sulla Fiera Letteraria.
A differenza di Giulio, tutto intriso "di nomi e di libri alla moda", Renato "leggeva quando gli capitava, con il desiderio caparbio di comprendere fino in fondo".
Giulio conosce Elena, la sorella di Renato, con la quale inizia una relazione.
"Ci sciogliemmo, io pieno di sgomento e di confusione, lei calma; mi disse di pulirmi le labbra, ché dovevo averle sporche di rossetto.
(...) Mi viene da ridere, se ci ripenso.
Se ripenso come, per tutta la serata e la notte, mi si complicò nella testa quella comunissima avventura." E se avesse dovuto sposarla ? "Lo sapete che Giulio va a passeggio ai Mercati generali con una fruttivendola ? (...) Poi conobbi Loredana con la quale, tra un bacio e lʼaltro, si poteva parlare di letteratura.
E Loredana sapeva anche baciarmi molto meglio di Elena".
I racconti non sono certo dei capolavori; dietro un neorealismo di facciata emerge una vena melodrammatica ed enfatica, che proviene dalla letteratura del fascismo e da radici ancora più lontane, dellʼItalia provinciale, estranea alla cultura europea.
È singolare come si senta già un senso di stanchezza, di rassegnata accettazione del Paese che sarà lʼItalia: intimistica, melliflua ed ipocrita.
Viene un poʼ di nostalgia nel leggere questi raccont.
Allora, una rivista di partito dava spazio alla letteratura, ai principali autori italiani; oggi siamo costretti a leggere frasi sconnesse su Facebook e su Twitter, mentre gli scrittori parlano dʼaltro, ben lontani dalla politica.
E forse da qui che prende le mosse lʼormai stucchevole crisi della sinistra ?
Perché leggerlo ? È interessante per ricordarci qualʼ era la cultura di sinistra.