Il romanzo narra le vicende di donne giapponesi mandate negli Stati Uniti a sposare compatrioti, già da tempo immigrati. "Alcune di noi erano di un piccolo villaggio di montagna in Yamanashi e solo di recente avevano visto il loro primo treno. Altre di noi erano di Tokyo, e avevano visto ogni cosa, e parlavano uno splendido giapponese. (...) Molte più di noi venivano da Kagoshima e parlavano in uno stretto dialetto del Sud che quelle di Tokyo pretendevano di non riuscire a comprendere. (...) Sulla nave eravamo vergini per la maggior parte. (...) Avevamo lunghi capelli neri e larghi piedi piatti e non eravamo molto alte." Che cosa pensarono quando videro il marito, ben diverso dalle foto per età ed aspetto? "Il passato era dietro di noi, e non c'era modo di tornare indietro". Il romanzo segue queste donne in una realtà nella quale dovono dire "Yes, sir, o No sir, e fare quanto le veniva detto, Meglio ancora, non dire niente. Tu appartieni al mondo invisibile". Imparano a ubbidire, a lavorare duramente, a parlare l'inglese, o almeno le parole sufficienti per sopravvivere, e persino si fanno degli amanti o trovano marito tra gli americani: sono lavoratrici e docili come piacciono agli uomini. Quando scoppia la seconda guerra mondiale, da bravi immigrati i giapponesi diventano dei traditori, spie e nemici, da internare in campi di concentramento. E così le donne giapponesi, pure quelle sposate con americani, si ritrovano rinchiuse. "I giapponesi erano scomparsi dalle nostre città. E presto, " puoi ancora vedere gli avvisi ufficiali attaccati ai pali del telefono, (...) ma già stanno iniziando ad essere a brandelli e a sbiadire. (...) Quali fossero esattamente queste istruzioni nessuno può ricordare chiaramente. (...) In autunno non c'è nessuna festa del raccolto buddista..(...) Sappiamo solo che i giapponesi sono da qualche parte là fuori, in un posto o nell'altro, e probabilmente non li incontreremo mai più in questo mondo".
Per dare un senso complessivo al romanzo si può partire dal titolo "The Buddha in the attic", tradotto banalmente in italiano con "venivamo tutte dal mare". L'identità giapponese, una miscela di buddismo e scintoismo, è messa in soffitta nel momento in cui le donne giungono in America: bisogna assimilare la nuova cultura, occorre essere americane. E' una semplice sospensione perché quando vengono destinate ad un luogo ignoto, un "non luogo", queste donne scompaiono, non ci sono più, è come se non ci fossero mai state. Ci sono due capitoli da leggere: "Venite giapponesi!" il viaggio di queste donne: la nostalgia e la perdita dei legami, il timore e l'attesa. Sono le componenti dell'esilio, quale sia la provenienza e la destinazione, sentimenti comuni a tanti migranti. "La scomparsa" narra l'evaporazione dei giapponesi e la mente corre ad un evanescente romanzo di Coetzee (si veda in questo sito "The childhood of Jesus").
L'autrice ha voluto dare alla narrazione un'impronta corale. Per raggiungere questo scopo è ricorsa ad un espediente letterario: l'uso del "noi" quando racconta la vita delle donne e della forma impersonale quando si narra la scomparsa del popolo giapponese. Non aver voluto seguire la storia di alcune donne, rendendole protagoniste nella loro individualità, le ha rese massa, appesantendo la narrazione e rendendo il romanzo prolisso e ripetitivo.
Perché non leggerlo? E' noioso.