Il romanzo si apre con un mistero (il suicidio della presunta prima moglie del padre di Juan, il protagonista e io narratore) e si chiude con la soluzione dell'enigma, che non dirò per non privare il lettore della sorpresa. Tra questi due lati del racconto, il segreto si svela lentamente, perché è in fondo sempre conosciuto, o sospettato: come Lady Macbeth nella tragedia shakespeariana, Juan vorrebbe conservarsi innocente, non sapere, anche se ha vergogna di avere "un cuore così bianco". E' vero che gli episodi che riaffiorano nella mente del protagonista paiono profetizzare lo svelamento del mistero. E' una successione di fatti, reali o immaginati; un susseguirsi sempre più confuso perché ribollente nella coscienza: durante il viaggio di nozze a Cuba la mulatta intravista dalla finestra dell'albergo (mentre la giovane sposa è a letto malata), lo confonde con l'amante che non arriva e gli urla <<Io ti ammazzo>>; la nonna racconta a Juan, ancora bambino, la leggenda di un serpente che ingoierebbe le giovani spose; il lungo racconto sull'amica Berta, che cerca incontri occasionali e lo costringe a guardare i video di un certo Bill, che non rileva il volto e fa richieste oscene, ben accolte perché <<la condizione ideale è quella dell'attesa e dell'ignoranza>>; persino la ragazza della cartoleria che ha fatto sognare l'adolescente Juan, perché lo rendeva <<felice pensare al futuro astratto, era tutto rimandato, lei era lì un pomeriggio dopo l'altro, sempre localizzabile e non c'era motivo per concretizzare il futuro e farlo smettere di essere futuro>>. Se il tema fosse quello di come noi rifiutiamo di riconoscere la "verità", il romanzo oscillerebbe tra il raffinato "Open City" di Cole Teju, in cui il protagonista analizza la propria vita non ricordando un episodio ignobile della propria giovinezza, perché non vuole sapere, e l'affascinante racconto di Salvatore Satta, "Il giorno del giudizio", in cui l'unica speranza è quella " di crearsi fantasmi, ai quali aggrapparsi" (si vedano le recensioni in questo sito). In realtà c'è dell'altro. In uno dei capitoli più intriganti, Juan, per il suo lavoro d'interprete, deve tradurre la conversazione di due statisti: uno spagnolo e l'altro inglese. Stanco del difficoltoso procedere del dialogo, decide d'inventarsi quanto si dicono i due, portandoli a parlare dei loro sentimenti, anche quelli intimi. << Raccontare deforma, raccontare i fatti deforma i fatti e li altera e quasi li nega, tutto ciò che si racconta diventa irreale e approssimativo benché veritiero. (...) L'unica verità è quella che non si conosce e non si trasmette, quella celata e non controllata, forse per questo si racconta tanto e si racconta tutto, perché niente sia mai accaduto, una volta raccontato>>. E allora quando alla fine del romanzo Juan vede e ascolta il colloquio rivelatore del segreto, e lo fa solo attraverso uno spiraglio di una porta, la scoperta lo spinge a raccontare per nascondere disperatamente la verità in un frastuono di parole e immagini, perché il mistero sia "come pitture e nient'altro", come dice Shakespeare.
Nell'appendice al romanzo Marìas sottolinea come solo la letteratura e le arti possono narrare l' enorme zona d'ombra della nostra esistenza, <<non per illuminarla o rischiararla, ma per percepirne l'immensità e la complessità>. Se però in "Domani nella battaglia pensa a me" questo approccio aveva creato una specie d'incantamento dentro cui si muovevano i personaggi all'interno di una trama strutturata, qui Marìas si è abbandonato a un fluire confuso di ricordi , al fascino del continuo ritorno, allo scorrere del tempo dove neanche le parole creano un pur esile ancoraggio (si vedano le recensioni del libro già citato e del "L' uomo sentimentale" in questo sito). Citando Ungaretti si potrebbe dire che il mistero in noi è indicibile, ma è compito della letteratura dare un ordine alla sua espressione, per evitare che ci perdiamo in una moltitudine di vocali e consonanti, di sillabe ed eleganti strutture sintattiche.
Perché leggerlo? E' prolisso ma interessante.